Sovraumanità racchiusa in un’USB

Titolo originale: Lucy

Regia: Luc Besson
Sceneggiatura: Luc Besson
Fotografia: Thierry Arbogast
Scenografia: Hougues Tissandier
Costumi: Oliver Bériot
Musiche: Eric Serra
Cast: Scarlett Johansson, Morgan Freeman, Min-sik Choi, Amr Waked, Pilou Asbaek, Analeigh Tipton, Alessandro Giallocosta, Nicolas Phongpheth
Produzione: Luc Besson, Christophe Lambert
Paese di Produzione: Francia
Anno: 2014
Durata: 89′

A cura di Alexia Altieri

 

Tutto ha inizio a Tapei, capitale di Taiwan, dove una studentessa non troppo intelligente di nome Lucy (Scarlett Johansson) viene suo malgrado sequestrata da un gruppo di malavitosi, capeggiati dal criminale coreano, Mr. Jang (Min-Sik Choi). Questi le nascondono nell’addome una sacca contenente una nuova droga sintetica, in modo da poterla espatriare in altri paesi.
Ci appare chiara fin da subito, la definizione di corpo umano che Luc Besson intende darci: esso funge da involucro, non è nulla più di un semplice contenitore. E ciò che accoglie è ben lontano dalla comune accezione di stupefacente, poiché si tratta di un ormone sintetico che viene prodotto dalle donne in gravidanza, durante la sesta settimana, ed è finalizzato alla formazione dell’apparato osseo del feto. La cocaina è fuori moda nel caleidoscopico mondo costruito da Besson.
Ancora una volta, il cinema di Besson splende della luce di impavide eroine: tra cui è doveroso ricordare la ribelle protagonista dell’omonimo film Nikita (1990) e la protagonista del film biografico The Lady: L’amore per la libertà (2011).
Lucy si trasforma in supereroina in modo del tutto accidentale, poiché a seguito del duro pestaggio a cui la sottopone uno dei gangester, la sacca inserita chirurgicamente nel suo corpo si lacera e la sostanza le entra in circolo. Inizialmente spaesata e spaventata, acquisterà progressivamente più potere e maestria, tanto da divenire dapprima sovraumana, e poi sfociare nell’astrattezza di un’intelligenza che si trasfigura sempre di più verso l’artificiale, l’incontenibile. Questa accezione dell’eroe che si ritrova catapultato di soppiatto in un ruolo che, inizialmente, sembra non riuscire a ricoprire, è classica della filmografia Marvel. Basti pensare ad eroi come Spiderman, o Captain America per coglierne il sottile collegamento.

1


Con questo film, che intreccia scienza, fantascienza, tecnologia, thriller ed action, Besson crea un enorme puzzle a tratti allucinatorio e difficile da seguire ed interpretare, da cui bisogna lasciarsi sopraffare, senza ragionarci troppo. Esagerato e grottesco in alcune scene, tra cui il concitato inseguimento in auto nelle vie parigine, quanto squisitamente documentaristico in altre. Si può cogliere, in controluce, qualche spunto taoista, in particolare nelle scene in cui il regista ci mostra gli albori del mondo: una realtà primordiale, fatta di selva, animali e ominidi (location che richiama, in qualche modo, 2001: Odissea nello spazio di Kubrick), tra cui uno particolarmente intelligente rispetto ai suoi simili, in seguito rinominato proprio Lucy, al quale viene affibbiata dalla Scienza l’etichetta di progenitrice della stirpe umana.
Il regista gioca spesso con il montaggio, ricorrendo ad un montaggio parallelo (alla Griffith) per mostrare, simmetricamente, l’assalto di un leopardo ad una gazzella, e il sequestro di Lucy da parte del trafficante di droga. Da citare anche il ricorso al montaggio alternato, invece, a sottolineare la contemporaneità tra la lezione del docente di biologia dell’Università di San Francisco (Morgan Freeman) e la propagazione del Cph4 nel corpo di Lucy.
Freeman, ancora una volta nei panni di comprimario, è il docente universitario sopracitato: scelta non casuale poiché l’attore sembra essere realmente un appassionato cultore delle neuroscienze.


Besson parte dall’intrigante ed arcano concetto che l’essere umano sfrutta solo il 10% delle proprie potenzialità cerebrali, e pone l’interrogativo su ciò che potrebbe accadere qualora riuscisse ad usarle al 100%. Questo l’escamotage di partenza, per alcuni banale, senz’altro impalpabile ed irraggiungibile, a cui il regista si propone di darci una sua interpretazione. Man mano che Lucy acquista maggior controllo del proprio cervello, in un’escalation che la porterà a raggiungere l’agognato 100%, diventando sempre più ubiqua ed onnipotente, acquisterà facoltà straordinarie, fino a raggiungere un apice che Besson semplifica in una completa smaterializzazione. Il corpo, come in Transcendence (Wally Pfister, 2014), è considerato ancora una volta un mero involucro che non ha altra funzione se non quella di contenere un’intelligenza che quando cresce eccessivamente ha bisogno di distaccarsene, di sconfinare. Anche in Lucy, il tetto massimo dell’intelligenza umana è rappresentato dalla sua metamorfosi in “intelligenza artificiale”. Lucy, come il Dr. Will Caster, sacrifica la propria umanità per tramutarsi in qualcosa di astratto, più simile ad un processore tecnologico senz’anima. L’ultimo scorcio di umanità, in un film di pura adrenalina, rimane cristallizzato in quella chiamata alla madre, che Lucy fa a circa metà film quando, convinta di morire, le ricorda quanto le vuole bene. È forse quello l’unico, ed il più toccante, momento di tutto il film, in cui il regista ci restituisce qualcosa di, a suo modo, più tangibile, come l’amore per la mamma che tutti noi conosciamo bene e forse, proprio per questo, ci commuove.


Questo film è ricco di spunti cinematografici, tra cui – a parte quelli sopracitati – senz’altro Limitless (Neil Burger, 2001) in cui Bradley Cooper, nei panni di uno scrittore incapace, riesce a potenziare le capacità della propria mente assumendo un farmaco sperimentale. Più sottile, forse, la citazione di E.T. l’extraterrestre (Steven Spielberg, 1982), nella scena in cui Lucy, ormai all’apice delle proprie capacità intellettive, compie un improbabile viaggio nel tempo, fino all’epoca primordiale di Lucy, la scimmia antropomorfa e, ritrovandosi l’una di fronte all’altra, accostano reciprocamente i loro indici.
Questo è, in pillole, il composito puzzle a cui Besson dà forma e vita, accostando un’action esasperata, talvolta a scapito della stessa coerenza narrativa (come nel suo Cose Nostre – Malavita, 2013), a spunti di riflessione che oscillano tra lo scientifico e lo sci-fi.
Infine, nulla più se non l’avvilente consapevolezza che la massima amplificazione della potenzialità cerebrale sia riducibile al contenuto di una chiavetta USB.

Lascia un commento