I mille volti di Londra

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A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Febbraio 2016 – Anno II – N.12 – [Pagg. 20-25] (download qui)

I primi di marzo uscirà al cinema Attacco al Potere – London has fallen.
Se il primo capitolo, Attacco al Potere – Olympus Has Fallen, vedeva la Casa Bianca presa d’assalto da estremisti nord-coreani decisi a colpire al cuore del potere a stelle e strisce, questa volta tocca alla capitale britannica essere nel centro del mirino.
Londra è stata spesso letta e riletta dagli occhi del cinema – location privilegiata di film dei generi più disparati. È stata nido d’amore, epicentro magico, palcoscenico di efferati omicidi e di impenetrabili misteri, ma soprattutto cuore pulsante dell’epoca vittoriana – in tutti i suoi sontuosi cambi d’abito: dal panciotto del diabolico barbiere di Fleet Street alla sfarzosa stoffa celeste che adorna l’abito vittoriano di Alice in Wonderland.

Londra romantica – Notting Hill, Roger Michell, 1999
Londra fa da sfondo all’appassionante storia d’amore tra l’elegante star hollywoodiana in trasferta e il libraio inglese, affascinante e anonimo, oltre che squattrinato. Julia Roberts e Hugh Grant si amano sul grande schermo e fanno sognare. Portobello Road è il cuore di Notting Hill – il caratteristico mercatino delle pulci e il negozio di libri di William Thacker, ne rappresentano l’attrazione principale. La città si fa teatro di un amore inedito: due mondi diversi quelli di Anna Scott e William, che si incontrano e scontrano in un’accecante e inaspettata passionalità dal retrogusto clandestino – i due si amano avvolti nell’oscurità dei giardini di Rosmead Gardens, al di là della recinzione che scavalcano senza remore e mano nella mano per le strade londinesi. 
Londra è amori intensi e cuori spezzati. Alla Waterloo Station, Gwyneth Paltrow da corpo al suo bivio, un macchinoso “what if” che ha seguito i moti del cuore della protagonista di Sliding Doors, tra le vie della città, per poi ritrovarla tradita, ferita – dalle schegge di una voce rotta dal pianto.
All’8 di Bedale Street si trova il pub di fronte al quale lo stesso Hugh Grant prende parte a una rissa con Colin Firth – contendenti al cuore di Renée Zellweger, nei panni della goffa trentenne single-non-per-scelta Bridget Jones.


I due volti della Londra vittoriana burtoniana:

Londra aristocratica, superficiale e di facciata – Alice in Wonderland, Tim Burton, 2010
L’Alice burtoniana non è in sintonia con l’ambiente che la circonda: le regole imposte dall’etichetta e i cliché di buon costume le stanno stretti. La Londra vittoriana viene traslata a sinonimo di spazio claustrofobico, di una mentalità ristretta e sterile, che lascia ben poco spazio all’immaginazione.
Londra plumbea, vendicativa e sanguinolenta –
Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street, Tim Burton, 2007

Siamo completamente immersi nella foschia della Londra gotica della scenografia di Dante Ferretti, che si riversa nel nero fotografico di Dariusz Wolski – riflesso architettonico della favola nera abilmente inscenata e fatta propria dal regista. Burton deforma consapevolmente la messa in scena: viviseziona il corpo del film, inghiotte e rigurgita una società malata, incline al tradimento e al cannibalismo, e chiama a rapporto il suo attore feticcio – Johnny Depp.
Per interpretare Benjamin Baker, l’attore deve muoversi sul registro espressivo del tormento: azzera ogni ombra di civiltà e sprofonda nell’anima inquieta del diabolico barbiere – squarcia le tenebre di quell’abisso con la lama del proprio rasoio e lascia che fiotti di sangue scorrano nelle fenditure.

Londra brutalmente violata – La vera storia di Jack Lo Squartatore, F.lli Allen e Albert Hughes, 2001
Sotto l’epidermide della storia, pulsano le vene di Londra. Questi simboli, la squadra, il pentacolo; anche un individuo profondamente ignorante e depravato come voi, avverte che essi sono pregni di energia e di significato. Quel significato sono io, sono io quell’energia. Un giorno gli uomini diranno, guardandosi indietro, che sono stato il precursore del XX secolo” – Jack Lo Squartatore.
Il quartiere di Whitechapel è passato alla storia – ma non nel modo per cui avrebbe voluto essere ricordato. Ci troviamo di fronte all’ennesima rappresentazione di Londra, quella torbida e profanata del 1888 – cuore della rivoluzione industriale, disseminata di pub frequentati da persone poco raccomandabili; viva nello scalpitio degli zoccoli di cavalli al traino di carrozze invisibili, immerse nella nebbia, e nel rumore molesto di violente scazzottate nei vicoli bui. Non solo scazzottate. A quei tempi, nell’oscurità della città si muoveva furtivo l’efferato omicida, più noto sotto l’inquietante pseudonimo di Jack The Ripper. Il primo corpo viene rinvenuto in Buck’s Row: una delle strade del triste quartiere dilaniato dalla povertà e dal degrado, teatro dei selvaggi assassinii di cinque prostitute. Il corpo viene a stento identificato: si tratta di Mary Ann Nichols.
Le pagine più macabre della storia londinese sono racchiuse idealmente nel London Dungeon Museum: dove vengono riprodotte teatralmente alcune tra le più micidiali scene del crimine che hanno marchiato a sangue la cultura popolare britannica – inutile dire che quelle relative a Jack Lo Squartatore sono tra le più richieste dai visitatori.

Il lato oscuro di Londra e le sue perversioni – Dorian Gray, Oliver Parker, 2009
La Londra del XIX secolo era un adorabile paradiso dei contrasti, dei vizi e delle virtù: una faccia della medaglia riluceva dei primi quartieri residenziali, delle prime classi benestanti, dei benpensanti e degli artisti di quell’epoca; il rovescio della medaglia vedeva invece una consistente fetta di popolazione riversata nelle baraccopoli, o vittima del degrado sociale e della perdizione– illegalità, prostituzione, oppio e alcol erano lo scomodo contraltare di un ostentato puritanesimo di facciata. Dorian Gray nasce dalla penna di Oscar Wilde e diviene manifesto di un estetismo decadente: il ritratto di Dorian Gray è il ritratto della stessa Londra – poiché sotto l’immortale bellezza e il satinato splendore si cela un’anima sudicia, sfigurata, diabolica.

Londra misteriosa – Sherlock Holmes, Guy Ritchie, 2009
Siamo nuovamente nell’Ottocento e Londra ha conservato quell’aurea di mistero che le conferisce un fascino fatale. Anche Guy Ritchie gioca sulla logica del contrasto, trasportandoci nell’azione – in una sorta di braccio di ferro tra potere, forza fisica e acume – dipingendo deliziosi quadretti fatti di enigmi e metodica violenza a mani nude, seppur mantenendo sullo sfondo i fastosi palazzi delle istituzioni, accanto ai cantieri – testimoni della rivoluzione industriale, del progresso edile e tecnologico. E poi c’è il seducente richiamo dell’occulto, di ciò che non si può spiegare: un irresistibile Sherlock bohémien, che è solito rifugiarsi nel suo appartamento, al celebre 221B di Baker Street, per fare congetture e testare – stordito dai fumi dell’oppio ma pur sempre geniale – strane sostanze miracolose, con il suo fidato Watson al seguito, striscia per i labirintici cunicoli fognari dell’East End londinese, scova malfattori e sventa pericoli.

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Londra magica – la saga di Harry Potter
La saga dedicata al maghetto più famoso di sempre ha dato ulteriore linfa vitale alla fama cinematografica internazionale della capitale britannica. Un giro di bacchetta, un incantesimo ed ecco che Londra si cambia d’abito e indossa il cappello a punta – anzi, il Cappello Parlante!
La Gringotts Bank, la sede del Ministero della Magia, Diagon Alley, il Millennium Bridge e più di tutti la stazione di King’s Cross sono entrati ufficialmente nell’immaginario collettivo di chi ama la saga di Harry Potter e – di conseguenza – ha amplificato il proprio amore per Londra. Il binario 9 ¾ di King’s Cross Station a Euston Road è stato addirittura ricreato, attraverso una targa e un carrello portavaligie idealmente incastrato nel muro, a metà tra il mondo reale e quello magico. Tutti i film di Harry Potter sono stati girati ai Leavesden Film Studios – i set sono oggi visitabili e quindi tappa fondamentale per tutti gli appassionati di Hogwarts.

Londra vendicata – V per Vendetta, James McTeigue, 2005
Londra è chiamata a prender parte all’ennesimo gioco di ruolo: McTeigue la prende tra le mani, la stropiccia, la deforma e le conferisce natura distopica. L’immagine che ne deriva è quella di un mondo futuristico in cui vige un regime totalitario, che si contrappone alla più radicale anarchia personificata nell’enigmatico Mr. V.
Buona sera, Londra. Prima di tutto vi chiedo di scusarmi per questa interruzione”: afferma V, apparendo sullo schermo principale della celebre piazza londinese, Piccadilly Circus. La sua lotta per la libertà si articola tra Trafalgar Square, la Central Criminal Court, la stazione abbandonata della metropolitana – Aldwych Station e il Parlamento, per poi prorompere in un’esplosiva tabula rasa del centro dell’assolutismo britannico. Londra cade in ginocchio, e tutti stanno a guardare.

Londra action – saga di James Bond
Impossibile non pensare a Londra quando si parla dell’agente segreto più fascinoso di sempre. Basti parlare degli uffici della Universal Exports, o a Pierce Brosnan che cade da una mongolfiera e atterra sul tetto dell’Arena O2 nell’episodio “Il mondo non basta”, o il più recente Daniel Craig che corre a perdifiato per le strade di Whitehall in Skyfall. La città stessa sembra prender parte all’azione, le rive del Tamigi sembrano correre fianco a fianco all’agente 007. Si può dire che Londra rifletta esattamente la saga: non a caso, Ian Fleming, autore di James Bond, era solito frequentare il Dukes Bar – luogo di nascita del celebre Vesper Martini.
James Bond: “Un Vodka Martini”.
Barista: “Agitato o mescolato?”
James Bond: “Che vuole che me ne freghi?”
James Bond: “Penso che lo chiamerò Vesper”
Vesper Lynd: “Per via del retrogusto un po’ amaro?”
James Bond: “, perché una volta che lo hai assaggiato, non puoi più bere altro” – Casinò Royale.

Attacco al potere – London has fallen, Babak Najafi, 2016
Ancora una volta Londra è stata scelta per presenziare una pellicola hollywoodiana. Quale maschera dovrà indossare? Quale ruolo sarà chiamata ad interpretare?
Il film uscirà nelle sale il 3 marzo – alla pellicola prenderanno parte Gerard Butler, Aaron Eckhart,

Peter Pan: un mito senza età

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Peter Pan – Walt Disney Pictures

Il mito di Peter Pan è senza età per antonomasia – non appare mai obsoleto al grande pubblico e il suo fascino resiste al tempo. Tuttavia, è ormai un dato di fatto che ogni sua trasposizione cinematografica non rende giustizia al gioiello letterario originale.
Il suo autore, James Matthew Barrie ha messo così tanto di sé e della propria storia tra quelle pagine che ogni altra versione o revisione appare inevitabilmente impersonale.

Peter Pan non è solo entertainment – ed è forse questo l’errore commesso dai registi che hanno preso in prestito la parabola del bambino che non voleva crescere e l’hanno resa un concerto di effetti speciali e ritmo; ci racconta soprattutto l’intimità del suo autore, i suoi drammi infantili, l’opprimente solitudine alimentata dal bisogno di calore materno e l’incontro fortunato con i piccoli fratelli Llewelyn Davies, tra i romantici sentieri dei Giardini di Kensington.

Peter è David, il fratello di Barrie che non diventò mai Adulto, morto prematuramente in un incidente sulla pista di pattinaggio sul ghiaccio. David era il figlio prediletto e quando morì la madre si chiuse in un dolore solitario, silenzioso e totalizzante – un silenzio che gridava a Barrie che non avrebbe mai preso il posto che il fratellino aveva nel suo cuore. Per un periodo il piccolo Barrie prese in prestito l’identità del fratello, indossando i suoi vestiti e assumendo le sue movenze. È facile, quindi, intuire la centralità del “rifiuto materno” nella favola di Peter Pan: sull’Isola che non c’è, i bambini sono tutti orfani e tutti i personaggi (compreso Capitan Uncino e la sua ciurma di pirati) conservano l’intimo desiderio di avere qualcuno che gli faccia da madre – figura che si esplicita nella premurosa Wendy.
L’ossessiva ricerca di una figura materna è il tema centrale della storia. Barrie provava per la madre una profonda devozione: le dedicò anche una sentita biografia, Margaret Ogilvy (1896). In un passo del libro, l’autore scrive:

“L’orrore della mia infanzia fu che io sapevo sarebbe arrivato un momento in cui avrei dovuto anch’io abbandonare i giochi, ma non sapevo come fare […] Niente di ciò che accade dopo i dodici anni importa davvero”.

L’autore è il primo tra i Bambini Sperduti.

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La morte è un altro tema forte che la favola di Peter Pan tocca e romanza: tutti i bambini caduti dalle proprie carrozzine, che non vengono reclamati per una settimana, giungono a Neverland. Le loro anime, come quella del fratellino David, sono destinate a rimanere cristallizzate per sempre nella sfera protetta dell’infanzia, senza mai venir contaminati dal divenire adulti.
Anche per Barrie è lo stesso, poiché la sua parte adulta non è riuscita a compiersi, ma “è rimasta incatenata al dolore dell’infanzia”.

Il primo maggio del 1912 venne presentata la statua dedicata a Peter Pan, realizzata da George Frampton, all’interno dei Giardini di Kensington – Barrie commentò: “Non vi traspare il demone che è in Peter”.

437080380_8e83cb62bfUn demone che la maggior parte delle rivisitazioni, prima fra tutte quella animata dalla Walt Disney Pictures, esorcizza attraverso il ritratto innocente dell’eterno bambino che porta con sé orde di suoi coetanei nel giocoso microcosmo.
Arrivarci è relativamente facile: seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino. L’isola che non c’è è raggiungibile solo da quei bambini che si rifiutano di crescere – un luogo ideale, utopico che non può nascere se non dall’incontaminata immaginazione infantile. Barrie s’ispira a un distretto australiano – Niever, Niever, Land – per il nome, e pennella un’isola colorata affollata da pirati, pellerossa, sirene, fate, gnomi e da un temibile coccodrillo. È un luogo pulsante, in cui tutto è in continua evoluzione, mosso da un movimento perpetuo al cui centro troneggia l’enigmatica figura di Peter Pan: i Bambini Sperduti cercano Peter, inseguiti dai pirati, a loro volta inseguiti dai pellerossa.

peter-pan5L’adattamento che ci mostra l’inedito volto demoniaco di quello che tutti conosciamo come “il difensore dei bambini” è la serie televisiva Once Upon A Time – in cui Peter Pan è un’ombra malvagia e l’Isola che non c’è assume le tinte dark e i toni noir dell’atmosfera da cui è avvolta, carica della tensione data dal regime oppressivo di Peter nei confronti dei Bambini Sperduti, ridotti a veri e propri schiavi. La cosa più curiosa e singolare di questa versione è la vera natura di Peter – il quale si scoprirà essere il padre di Tremotino, il personaggio più ambiguo e interessante della serie, che ha rinunciato al figlio pur di rimanere sull’Isola che non c’è. Insomma, siamo nuovamente di fronte a un rifiuto, ma questa volta di natura paterna.
Sicuramente questa è la versione più ardita di Peter Pan, che si discosta totalmente dal modello a cui tutti siamo abituati.

I toni gotici, cupi, da La maledizione della prima luna sono ripresi anche da P. J. Hogan in Peter Pan (2003) – versione cinematografica tra le più fedeli all’opera letteraria, che ha tuttavia costituito un imponente flop, a tal punto da segnare la fine della carriera del regista australiano. Stroncata dalla critica per via di una modernità troppo ostentata: nello slang dei protagonisti e nell’inedita tensione sessuale che si avverte tra Peter e Wendy. Seppur per la prima volta sul grande schermo “Peter assomiglia a sé stesso” – con le fattezze di Jeremy Sumpter – questa versione kolossal “ubriaca gli occhi e manca il cuore”.

Il personaggio che più si presta ad essere deformato dalle diverse riletture della fiaba è Capitan Uncino. In origine, il personaggio di Hook (in lingua originale) è definito come “capitano dei pirati, oscuro tanto nel carattere quanto nell’aspetto”. Un uomo senza scrupoli e senza mano – persa per colpa di Peter Pan che è, per questo, il suo nemico numero uno.
In Once Upon A Time, Colin O’Donoghue dona volto e prestanza ad un’irresistibile Capitano, sexy e impertinente – lontano anni luce dalla sua versione animata.

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In Pan (Joe Wright, 2015), ultimo adattamento cinematografico della storia, il personaggio si configura addirittura come figura amica, quasi paterna di Peter. Indolente, egoista e bugiardo ma in fondo decisivo per la salvezza del piccolo orfano volante.hook-capitan-uncino-06

Il piratesco villain dal fascino sinistro ha persino intitolato uno tra i più originali arrangiamenti del cult d’animazione: Hook – Capitan Uncino (Steven Spielberg, 1991). La pellicola si autoconfigura come una sorta di sequel della storia che tutti conosciamo e amiamo: Peter, figlio dell’impeccabile interpretazione di Robin Williams, è un uomo di mezza età, un po’ miope, con figli a carico e una carriera da avvocato che occupa tutto il suo tempo. Un giorno, però, i suoi figli vengono rapiti e trasportati su Neverland: per andare avanti, perciò, Peter dovrà tornare indietro, in quel luogo magico in cui tutto ebbe inizio. Qui sarà costretto nuovamente ad un faccia a faccia con il più temibile tra i corsari: Giacomo Uncino (Dustin Hoffman) – la vera star del film, istrionico e pomposo, seppur destinato a diventare cibo per l’alligatore da cui è perseguitato. Spielberg si riconferma perfetto trovatore e, sostenuto da un cast di prim’ordine, riesce a dipingere un degno inno alla fantasia.

“Ho creato Peter Pan strofinandovi violentemente insieme, come fanno i selvaggi che producono una fiamma da due stecchi. Questo è Peter Pan, la scintilla venutami da voi”.

Con questa frase, il padre dell’eterno bambino dedica la propria opera – una sorta di mitologia dell’infanzia – ai fratelli Llewelyn Davies. Per intrattenere i due fratelli maggiori, George e John, Barrie raccontava che le finestre della loro casa avevano le sbarre per impedire al loro fratellino più piccolo, Peter, di volare via – poiché, nella dimensione fantastica dell’autore, i bambini prima di nascere sono gli uccelli colorati che sorvolano il cielo dei Giardini di Kensington.

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Neverland – Un sogno per la vita
(Marc Forster, 2004) è una parabola sull’immaginazione: si propone di narrarci le origini di Peter Pan attraverso la biografia del drammaturgo scozzese. Il film narra dell’incontro tra Barrie e la famigliola, e del loro chimerico viaggio verso la felicità. J. M. Barrie ha il volto stralunato di Johnny Depp e Sylvia – la madre dei bimbi, vedova e molto malata – l’eleganza di Kate Winslet. La pellicola ci invita a riflettere con una delicatezza disarmante, trasportandoci sulla linea sottile che divide fantasia e realtà.

Molto labile il confine tra reale e immaginario anche nel recentissimo Pan. La pellicola non ha riscosso un grande successo, tuttavia presenta imprescindibili contaminazioni della biografia e delle intenzioni del padre di Peter Pan – Barrie. In primis, il film si apre tra i corridoi asimmetrici di un orfanotrofio, in cui Peter stringe una profonda amicizia con un altro orfano: il più caro tra gli amici d’infanzia dell’autore è John McMillan, il ragazzino con cui condivise l’esperienza in collegio.
Inoltre, viene revocato la differenziazione tra Peter e il Dio Pan – per i greci esso era il figlio di Ermes e della ninfa Penelope, i quali lo abbandonarono per via del suo aspetto mostruoso (aveva le fattezze di un satiro). Il fauno crebbe in mezzo alla natura e si perse in un amore non corrisposto con la ninfa Siringa: un giorno, per non essere raggiunta da Pan, si trasformò in canne palaustri – il Dio ne estirpò alcune e le legò insieme, creando quella zampogna che è anche il simbolo della divinità Pan del film di Wright.
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Il regista trascina lo spettatore in una sorta di delirante prequel della storia originale – moda hollywoodiana che ha portato i suoi frutti per pellicole come Maleficent – in cui Neverland è un’immensa miniera, dove un truccatissimo Barbanera (Hugh Jackman) dai risvolti rock, costringe i bambini rapiti a lavorare quotidianamente alla ricerca della polvere di fata. Un’isola che non c’è riciclata, caotica e sconclusionata, scandita dal ritmo delle canzoni dei Nirvana, in cui Trilli è stata rimpiazzata da una singolare selvaggia pagana di nome Giglio Tigrato e Capitan Uncino è diventato compagno di sventure di Peter.

L’errore principale di queste pellicole è stato probabilmente quello di ardire, snaturando il dramma nascosto tra le pieghe della storia immaginifica, pirotecnica, arricchita dalle atmosfere oniriche di Neverland e dal carisma dei suoi abitanti. Quando si ha a che fare con una fiaba intimistica di questo calibro, occorre tenerne sempre a mente la morale.
“C’è un’Isola che non c’è per ogni bambino, e sono tutte differenti” : Sir James Matthew Barrie ci ha mostrato la sua, ed è così autentica che è impossibile farne copia.

Speciale Colin Farrell – “La mia vita è da manicomio”

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Colin Farrell

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Novembre/ Dicembre 2015 – Anno II – N.10 – [Pagg. 49-54] (download qui)


Colin Farrell
è indubbiamente uno dei bad boy più sexy del cinema, con un fascino innato e tormentato, e una predilezione per il ruolo del cattivo.

Colin James Farrell nasce a Castleknock – un quartiere di Dublino, il 31 maggio del 1976. Dapprima sogna di diventare un calciatore come il papà Eamon, poi la mamma Rita Monaghan lo iscrive a un corso di danza, ma il piccolo Colin sente di non aver ancora trovato la sua strada. Da adolescente tenta la strada della musica: partecipa a un provino per entrare a far parte della boyband dell’epoca – i Boyzone – ma non ha fortuna. Passa un periodo in Australia dove provvede al proprio sostentamento lavorando come cameriere, finché finalmente decide di tornare in Irlanda e iscriversi alla Gaiety School of Acting a Dublino. È chiaro fin da subito che è quello il suo destino: nel 1996 entra nel cast di una serie televisiva, comedy drama irlandese, firmata BBC, dal titolo impronunciabile – Ballykissangel.

Ballykissangel sarà un’importante vetrina per Colin, un’emblematica audizione per il mondo del cinema – sarà Tim Roth a notarlo e a trascinarlo sotto le luci patinate dei riflettori con The War Zone (Zona di guerra, 1999), esordio alla regia del talentuoso attore.
Tuttavia, sarà Joel Schumacher a stendere il red carpet ai piedi del giovane irlandese e a sancire il suo ingresso a Hollywood con Tigerland, 2000. Colin è Roland Bozz, un cinico militare ribelle – un eroe per i suoi compagni e un piantagrane per i suoi superiori. Tigerland ci racconta attraverso questo affascinante personaggio la dura preparazione militare dei soldati americani in partenza per il Vietnam – in particolare, Tigerland è il nome dell’ultimo, infernale campo di addestramento, che ripropone fedelmente le dinamiche della guerra. Se Bozz è il focus della vicenda, intorno a lui rimangono ai margini della storia gli altri personaggi, i quali vengono definiti per cliché – il patriottico, il goffo, il dispotico, il fanatico, …
Schumacher richiamerà l’attore per fare da protagonista a In linea con l’assassino (Phone Booth, 2002): una pellicola che si sviluppa all’interno di una vecchia cabina telefonica e riesce a tenere alto il livello della tensione nonostante l’azione si sviluppi unicamente alla cornetta. Colin è Stu Shepard, un borioso consulente per i media – la pellicola si apre sulla sua baldanzosa marcia per le vie di Manhattan, prosegue con una telefonata non rintracciabile alla sua amante e si evolve in una minaccia di morte da parte di una voce che lo ricatta, ingabbiandolo nella cabina con la promessa di tenerlo a tiro con un fucile di precisione.

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Colin Farrell in Miami Vice

L’action thriller è il genere prediletto da Colin, il quale ha ceduto spesso al fascino della divisa: “Spesso, su un set, mi ritrovo con una pistola in mano: e dire che a me le armi non piacciono per nulla”.

A questo proposito, nel palmares dell’attore si sono susseguite pellicole del calibro di Sotto corte marziale (Gregory Hoblit, 2002) – per cui ha collaborato con Bruce Willis, Minority Report (Steven Spielberg, 2002) – al fianco di Tom Cruise, Daredevil (Mark Steven Johnson, 2003) – insieme a Ben Affleck.
Alle pellicole indipendenti si alternano blockbuster come Miami Vice (Michael Mann, 2006) e S.W.A.T. – Squadra speciale anticrimine (Clark Johnson, 2003) – in relazione a quest’ultimo, Colin ha affermato: “È stato divertente recitare in questo film. Da ragazzino ho visto una valanga di film d’azione americani. Una volta tanto è stato divertente fare un’americanata”.
Per quanto riguarda la trasposizione cinematografica di Miami Vice è da citare un simpatico aneddoto: durante le riprese, per evitare l’assalto dei paparazzi, l’assistente di produzione ha fatto indossare a tutta la troupe una maglietta con la scritta Leave Colin alone – inutile dire che la bizzarra T-shirt si è presto trasformata in una vera e propria linea d’abbigliamento.
Tuttavia, nonostante la crescente fama internazionale e la sua partecipazione a queste “americanate”, come lui stesso le ha definite, una cosa è certa: Colin non ha mai venduto l’anima a Hollywood.

Nel 2003 Farrell viene nominato uno dei cinquanta uomini più sexy del mondo dalla rivista People e, nello stesso anno, prende parte al cast di La regola del sospetto di Roger Donaldson in cui collabora con Al Pacino – un vero idolo per Farrell, insieme altri nomi altisonanti: Steve McQueen, Paul Newman, Clint Eastwood, James Caan e Marlon Brando.
Nel film, Al Pacino rispecchia questo ruolo di mentore nei confronti del giovane – che veste i panni filmici dell’apprendista. E li veste alla perfezione, poiché Al lo ha definito “il miglior attore della sua generazione”.

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In Bruges – La coscienza dell’assassino

È passato dal fronte militare, al distintivo, per poi approdare ai ruoli da assassino.
In un’intervista è stato chiesto a Colin cosa ci fosse di attraente in ruoli di questo tipo, e lui ha risposto: “Il fatto che questi personaggi si muovono in un contesto ben definito, in cui è chiaro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ma ai margini di questo sistema, come Pride and glory dimostra, ci sono zone d’ombra. Per questo il mio personaggio è difficile da giudicare, anche se come attore gli ho dovuto trovare una giustificazione. Ma nella vita non farei mai il poliziotto.

In particolare, Pride and Glory – Il prezzo dell’onore (Gavin O’Connor, 2008) segna questo passaggio dall’ordine, all’ordine apparente e corrotto del sistema newyorkese, all’altra faccia della medaglia – la criminalità, in cui dominano perversi giochi di potere e spietati assassini.
In Bruges – La coscienza dell’assassino (Martin McDonagh, 2008) rappresenta uno dei punti più alti della carriera di Colin, al quale il ruolo del killer malinconico calza a pennello e gli procura anche un Golden Globe. In Bruges ci racconta la storia di una cittadina medievale irlandese, “personaggio fondamentale che cambia nel corso della storia. All’inizio sembra decisamente benigna, ma poi diventa sinistra quando Harry conferma le preoccupazioni di Ray” – come sostiene lo scenografo M. Carlin. Bruges è un bellissimo museo a cielo aperto eppure Ray (alias di Colin), killer di professione, la disprezza. McDonagh dona abilmente vita ad un complesso giro di vite, in cui la tensione resta alta nonostante l’azione scarseggi, e Colin permea l’intera vicenda con l’affascinante evoluzione introspettiva del proprio personaggio.
Se In Bruges è stato un successo, Alexander – la controversa pellicola con cui Oliver Stone si propone di raccontare la propria versione sulla vita di Alessandro Magno – non ha evitato a Colin la nomination ai Razzie Awards come peggiore attore dell’anno.
Il ritratto pansessuale che Stone ha fatto del condottiero macedone ha lasciato allibiti critica e pubblico – anche la Warner Bros. ha intimato il regista di rivedere alcune scene omosessuali troppo esplicite tra Colin Farrell e Francisco Bosch. Colin definisce questo film “doloroso” e spiega: “mi ha fatto male: non è stato accolto bene, e nemmeno la mia interpretazione è piaciuta. E visto che un attore non fa un film per sé stesso ma per il pubblico, è stata dura da digerire l’idea di aver deluso tanta gente; di aver tradito la figura di Alessandro Magno, la bellezza della sua storia. Mi ci è voluto tempo per superare questo trauma: solo negli ultimi due anni sono riuscito a capire che le battute d’arresto possono capitare e sono riuscito a farmi tornare quella curiosità, quell’entusiasmo che provai a 16 anni quando io, che volevo fare il calciatore, mi ritrovai un po’ per caso a fare l’attore”.

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Colin in Alexander

Colin, come Alessandro Magno, è un grande sognatore: “Fin da bambino guardavo fuori dalla finestra semplicemente chiedendomi cosa sarei diventato. I greci lo chiamano pathos, intendendo desiderio, aspirazione. Io amo sognare ma ancora più amo sognare a occhi aperti perchè quando dormi non hai scelta mentre se sogni ad occhi aperti puoi decidere cosa sognare”.
Le due pellicole che più mettono in risalto questa sua parte sono indubbiamente Saving Mr Banks (John Lee Hancock, 2013) e Storia d’inverno (Akiva Goldsman, 2014). Il primo racconta il fiabesco (e tortuoso) passaggio della fiaba di Mary Poppins dalle pagine di un libro al grande schermo per volere di Walt Disney in persona. Colin interpreta il Mr. Banks del titolo, l’uomo ferito, un padre sensibile e fragile che dev’essere salvato – un’interpretazione commovente ed equilibrata “nel suo implacabile e continuo cambiamento di segno”. In Storia d’inverno, invece, è un eroe romantico – un ladruncolo gentiluomo d’altri tempi che s’innamora di una ragazza nobile e in fin di vita. La storia, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo fantasy di Mark Helprin, parla essenzialmente di miracoli e Amore – quell’amore che ha il potere di resistere al tempo e alla magia demoniaca di un perfetto Pearly Soames (Russell Crowe). Colin è un romanticone: “L’amore ha la forza di attraversare i confini del tempo e sopravvivere anche davanti alla morte, come nel caso dell’amore di Peter nei confronti di Beverly. Mi considero un romantico […] è difficile, ma credo sia possibile questo tipo di sentimento totalizzante e mi commuovo sempre quando incontro coppie che si amano da cinquant’anni. Non so se riuscirò”.

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Storia d’inverno

È vero, Colin ha condotto una vita macchiata da vizi malsani e dagli eccessi – una vita che lui stesso definisce un “manicomio”. Tuttavia, l’attore ha più d’una volta dimostrato di avere un animo sensibile e altruista – quando Colin, insieme ai colleghi Johnny Depp e Jude Law, è stato chiamato da Terry Gilliam per completare l’ultimo film di Heat Ledger: Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo. I tre attori sono saliti sul carrozzone delle meraviglie del Dottor Parnassus e hanno celebrato la memoria del proprio amico scomparso prematuramente, prima della fine del film: le loro parcelle sono state interamente devolute alla figlioletta di Ledger, Matilda.

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Fright Night – Il vampiro della porta accanto

L’abbiamo visto interpretarsi sul grande schermo in tutte le sue sfumature, dalle più malvagie – tra cui spicca l’irresistibile vampiro Jerry di Fright Night – Il vampiro della porta accanto (Craig Gillespie, 2011), svenevole predatore in canotta dalle movenze feline – alle più appassionate, alle più comuni – in Total Recall – Atto di forza (Len Wiseman, 2012), Colin è l’uomo qualunque, insoddisfatto e in cerca di nuovi stimoli mentali, nell’accezione più fantascientifica del termine.
Soprattutto, non ha mai celato al grande pubblico le sue fragilità: in Sogni e Delitti (Cassandra’s dream di Woody Allen, 2007) è un debole, schiavo di tutti quei vizi che all’attore sono così familiari: “Incarnare un personaggio così fragile è stata una liberazione. Dopo tanti ruoli duri, forti, d’azione, che mi hanno affidato: un uomo comune. Non uno che va in giro a far fuori tutti quelli che vede”.

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Premonition

La sua ultima fatica è Premonition (Afonso Poyart, 2015) che vede l’attore tornare sui suoi passi, interpretando l’ennesimo killer che, però, questa volta, presenta una particolarità in più rispetto ai suoi predecessori: è in grado di prevedere il futuro.
Insomma è chiaro che Colin Farrell è ancora in grado di reinventarsi e confezionare interpretazioni degne di nota – quanto è palese che il suo irresistibile charme da bello e dannato è rimasto intatto.

 

 

The Walking Dead 6 – La calma prima della tempesta del 6×07

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A cura di Alexia Altieri
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La calma prima della tempesta – ecco, come riassumerei questo episodio. Anzi prenderei in prestito la calzante frase di Rick: “Non abbiamo neanche il tempo di riprendere fiato”. E, mentre qualcuno sta ancora gioendo perchè Glenn è vivo, qualcuno si gongola per aver fatto centro con la Teoria del cassonetto e qualcun altro sta scuotendo la testa, allibito dalla progressiva perdita di credibilità dello show, ecco subito un cliffhanger con il botto (anzi con il crollo) che riporta il livello di tensione alle stelle.

Le sette vite di Glenn

Anche questa volta il nostro ex ragazzo delle pizze se l’è cavata per il rotto della cuffia. Io, personalmente, ho tirato un sospiro di sollievo anche se già nell’aria aleggia il dubbio pungente che dovremo comunque prepararci a direaddio a uno dei nostri beniamini sopravvissuti – probabilmente nella prossima puntata, mid season finale. E se questo personaggio fosse proprio Maggie? Sarebbe un paradosso, però forse costituirebbe una via di fuga per gli show runner, i quali potrebbero così riscattarsi e tornare in pista, rispolverando il caro vecchio mantra: in The Walking Dead non esiste etica, chiunque può morireTorniamo all’episodio – a seguito dei titoli di testa veniamo subito accolti dal familiare sparo alla testa di Nicholas. I due cadono e, come da copione, i famelici non morti si pappano il suicida sotto lo sguardo terrorizzato di Glenn – il quale riesce a sgattaiolare da quell’orrido banchetto e rifugiarsi sotto al cassonetto. Rimane lì, scioccato – gli erranti via via se ne vanno e la ribelle Enid, che è ancora ossessionata dalla sigla JSS, lo trova e gli porge una bottiglietta d’acqua. In tutto ciò, non lo vediamo mai comunicare al walkie talkie – quindi, chi fosse quella voce bisognosa di aiuto che abbiamo sentito alla chiusura della scorsa puntata rimane ancora un mistero.  Tuttavia, ora abbiamo la prova che Norman Reedus è sincero: l’attore ha sempre sostenuto che l’enigmatico Help non provenisse dal ricetrasmittente del nostro coreano preferito.

Nell’Alexandria che vorrei …

Nel frattempo, gli abitanti di Alexandria sembrano essersi trasformati nella famiglia del Mulino Bianco. Deanna ha ritrovato la propria sanità mentale e gira per le strade sorridente, con una planimetria arrotolata, stretta sotto braccio e cerca di esporre a Rick i propri piani per espandere la città. Padre Gabriel affigge locandine che invitano tutti i cittadini a partecipare alla predica. Rick insegna all’amico-nemico di Carl (che sembra pericolosamente trasformarsi sempre più in uno degli One Direction) a maneggiare la pistola. Carol, invece, sospettosa come sempre, si aggira con Judith in braccio e riesce – in quei pochi minuti di apparizione che le vengono concessi – a scovare la tana del lupo, in casa di Morgan.

Nel frattempo la telecamera continua a inquadrare un rivolo di sangue che scorre attraverso la palizzata che divide Alexandria dall’orda di zombie – come a indicare che, nonostante la pace apparente, la minaccia è sempre là fuori e continua a incombere sulla città come una spada di Damocle pronta a cadere sulla testa degli abitanti. Tutta questa armonia viene interrotta, per un attimo, da una nota grave: in questa puntata, Spencer, il figlio di Deanna, si è aggiudicato l’opportunità di fare la mossa stupida, avventata, non sense della settimana! Lo vediamo mentre tenta di superare la palizzata con una corda, sospeso sull’orda di zombie – degno dei peggiori film della Marvel. Ovviamente l’escamotage assunto dal ragazzo per superare la folla risulta precario e rischia di finire in pasto alle bestie. Gli zombie sembrano sempre di più una moltitudine di ragazzine impazzite durante un concerto, con la bocca spalancata e le braccia al cielo e, qualcosa mi dice, che se Spencer vi fosse caduto sopra non sarebbe finita come per Morgan dei Bluvertigo.

Breccia

Verso la fine dell’episodio tutti i pezzi del puzzle sembrano finalmente poter andare al proprio posto: Glenn è ormai giunto alle porte di Alexandria, in compagnia di Enid e di un mazzo di palloncini a elio, verdi. Maggie, che ogni giorno dall’alto della palizzata fissa l’infinito in attesa di scorgere la sagoma del marito all’orizzonte, vede il mazzo di palloncini verdi alzarsi nel cielo e gioisce: per lei, inequivocabile avvisaglia che Glenn sta finalmente tornando da lei. Tutto bello, finchè … la torre crolla, distruggendo la recinzione – divisorio tra vita e morte – e aprendo un varco ai vaganti.

Prego, entrate pure.

6×08 – Start to Finish

Dal promo è facile evincere i due capisaldi del puntatone di mid season finale: Panico e Caos. Su internet iniziano a serpeggiare grossi spoiler, tuttavia non ho voluto rovinarmi la sorpresa – pertanto, mi limiterò a riprendere il claim che gli autori hanno scritto per il prossimo episodio: “Dopo aver avuto qualche momento di pace, il pericolo fa breccia ad Alexandria di nuovo. Solo che questa volta il problema potrebbe essere troppo grande da risolvere”.

The show must go on.

The Walking Dead 6 – L’animo gentile di Daryl Dixon e una finestra sul 6×07

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A cura di Alexia Altieri
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Il sesto episodio di The Walking Dead – Always Accountable, scorre via abbastanza anonimamente fino a pochi minuti dai titoli di coda, ma prima analizziamo quanto è successo.

SPLIT SCREEN

Finalmente gli autori tornano a puntare i riflettori su quei poveri tre disgraziati di Daryl, Abraham e Sasha. Li avevamo lasciati così: Daryl in sella alla sua moto, sempre più randagio, e la “strana coppia” formata dal fulvo omone e dalla ragazza inguaribilmente tendente all’autolesionismo a bordo della loro station wagon – tutti e tre mossi dal vano tentativo di allontanare l’orda di zombie che si sta dirigendo verso Alexandria, attratta dal famoso clacson. Come se non bastasse la minaccia di erranti e Lupi, eccone una nuova: un commando di uomini attacca il trio e lo costringe a dividersi. Piccolo inciso: è possibile che a capo di questo nuovo gruppo ci sia Negan, il miglior villain del fumetto a cui non è stato ancora dato un volto nella serie. Così, Daryl brancola nella foresta – che ha più le sembianze di una steppa bruciacchiata (Glenn è riuscito ad appiccare il fuoco?) – mentre i due si rifugiano in un appartamento, dove si intratterranno in articolate conversazioni nonsense, in attesa che il loro compagno li ritrovi.

L’ANIMO GENTILE DI DARYL DIXON

Ritrovatosi solo nella foresta, Daryl stupisce in maniera inedita, dimostrandosi goffo e sprovveduto di fronte ai pericoli reali che gli si presentano: forse fin troppo assuefatto a nemici barcollanti, dall’aspetto cereo e sanguinolento. L’arciere viene sorpreso da tre sopravvissuti che lo colpiscono e lo legano – convinti che sia un esponente dei temibili Wolves. Per fortuna il bel tenebroso riesce a liberarsi e fuggire … finché non si rende conto che nel borsone rubato ai tre assalitori, ci sono dei flaconi di insulina. Ed ecco che torniamo al solito punto: ogni atto di compassione, umanità, gentilezza compiuto in questa saga, provoca sempre l’effetto opposto. Il dogma Fai del bene e riceverai bene non è mai stato così inesatto. Com’era facilmente intuibile, il buon Daryl torna dai suoi assalitori e riporta il borsone con le medicine necessarie alla sopravvivenza della ragazza diabetica, che ne fa parte. Risultato? Cornuto e mazziato – non solo lo abbandonano al suo destino nel bosco, ma gli rubano anche moto e balestra, sancendo la fine di un’icona.

HELP

Mentre Abraham e Sasha sono impegnati in un inconcludente flirt, ecco apparire Daryl-dalle-mille-risorse a bordo di un camioncino di benzina. Il trio, finalmente riunito, si dirige ora verso Alexandria: Daryl impugna il walkie talkie e prova a contattare Rick. Una voce risponde, non è Rick – chiede Aiuto. Sei tu Glenn? Io ho visto l’episodio in lingua italiana e, personalmente, non mi è parso di riconoscere il tono di Glenn – tuttavia, vulture.com ha isolato quel Help e l’ha messo a confronto con un’estrapolazione della voce di Glenn che pronuncia quella parola: per sentirlo, cliccate qui. Nonostante Norman Reedus continui a smentire che quella voce appartiene al nostro eroe coreano, non possiamo fare a meno di aggrapparci a questa speranza – nella consapevolezza che nel prossimo episodio, finalmente, sapremo la verità.

EPISODIO 6×07 – Heads Up

Mancano solo due episodi al mid season finale e la tensione cresce. Dal promo dedicato al prossimo Heads Up, vediamo con piacere che – dopo sette episodi – finalmente il gruppo è riuscito a riunirsi sotto lo stesso grande “tetto” di Alexandria. Nonostante questo sembra che non sia ancora arrivato il momento di tirare il fiato: dalle poche immagini contenute nel video promo, comprendiamo subito che faremo ancora incetta di zombie e panico. Purtroppo, il destino Glenn sembra ancora destinato a rimanere fuori campo. In totale antitesi rispetto ad un promo all’ultimo respiro, lo sneak peek vede Rick, Morgan e Michonne seduti intorno al tavolo, immersi in una discussione animata. Lo spirito pacifista di Morgan inizia a fare a pugni con l’anima irruenta di Rick: questo faccia a faccia potrebbe essere il primo sintomo di una guerra civile?

The Walking Dead 6 – Fari puntati su Maggie nel 6×05 e il promo su Daryl 6×06

A cura di Alexia Altieri
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Il quinto episodio della sesta stagione di The Walking Dead intitolato Now, aiuta gli showrunner a smorzare la tensione accumulata nel corso degli avvenimenti precedenti. Si può definire un episodio filler, che procede linearmente senza farci mai particolarmente balzare sulla sedia. Unica rivelazione degna di nota è la gravidanza di Maggie: tuttavia, non possiamo fare a meno di accogliere la lieta novella con un po’ di amaro in bocca. Per quanto gli autori continueranno a mettere il dito nella piaga?

LA SPERANZA È L’ULTIMA A MORIRE (speriamo anche Glenn!)

Michonne torna ad Alexandria e allerta Maggie sulla perdita delle tracce di Glenn – il quale non ha più risposto al walky-talky dopo essersi diviso dal resto del gruppo per appiccare l’incendio che avrebbe dovuto fungere da diversivo, insieme a Nicholas. In questa occasione sarebbero tornate molto utili le due spunte di Whatsapp. Vediamo il nome di Glenn apparire sulla parete dedicata al ricordo di chi forse non tornerà mai… Eppure Lauren Cohan – l’attrice – ci confida che Maggie nella sua mente si rifiuta di credere che Glenn sia morto. E anche noi. Infatti decide di andare a cercarlo. Aaron prima prova a fermarla, poi decide di accompagnarla in questa missione suicida. Non riescono neanche ad uscire dalle pareti di Alexandria che già si rendono conto dell’impossibilità della cosa – in particolare per Maggie, che è incinta. Diciamo che l’apocalisse zombie non è il contesto migliore in cui mettere al mondo un figlio, tuttavia sembra che la coppia avesse già in precedenza accettato questa prospettiva con gioia – l’attrice rivela: “Il mondo non si ferma quando il mondo si ferma. Per me è giusto che ciò sia accaduto”. Quindi, a quanto afferma Lauren, sembra che Glenn fosse già al corrente di questa cosa – e probabilmente è per questo che ha impedito che la compagna lasciasse la città insieme a lui. L’attrice ci lascia anche intendere che avremo modo di esplorare come ha reagito la coppia davanti a tale prospettiva. La commovente parentesi su Maggie, in cui assistiamo in silenzio all’intimità del suo dolore e della sua preoccupazione, si conclude con una struggente sequenza in cui la vediamo intenta a cancellare il nome di Glenn dal “muro del pianto” – dedicato alle vittime – con un sorriso sulle labbra e una speranza accecante negli occhi.

FUORI CAMPO

Quasi fuori campo, assistiamo alle vite degli abitanti di Alexandria. Vediamo Carl che, in balia alla pubertà, già sappiamo che si caccerà nei guai per inseguire Enid nella foresta; Denise ritrova la fiducia in sé stessa, nelle proprie abilità mediche e in un sentimento che forse non vale la pena reprimere; Deanna, in preda all’isteria, assomiglia in maniera sempre più preoccupante ad Elise Rainier di Insidious, e suo figlio Spencer passa da modello d’integrità per il gruppo ad alcolista. La persona che più di tutte sembra avere la reazione più consona è Jessie, la quale ha ormai interiorizzato totalmente il dogma “Combatti o muori”. Rimane fuori campo anche la nascita di una love story: il bacio tra Rick e Jessie restituisce un po’ di romanticismo allo scenario da incubo a cui i nostri sopravvissuti sono costretti da ben sei stagioni.

Anticipazioni 6×06 – Always Accountable

Il promo ci presenta già i protagonisti del prossimo episodio: Sasha, Abraham e Daryl – l’arciere è solo, nella foresta, circondato da zombie famelici…dobbiamo temere anche per la sua vita? Non facciamo scherzi! Sembra che gli autori vogliano tenerci un altro po’ sul filo del rasoio per quanto riguarda il destino di Glenn; tuttavia, a detta di alcuni spoiler, pare che l’episodio 6×07 – Heads Up, sia quello decisivo per avere finalmente delle risposte a riguardo!

La nostra idea? Dovremo mangiarci un altro po’ di unghie.

Continua il pieno di emozioni con Inside Out: nuovo cortometraggio “Il primo appuntamento di Riley”

La Pixar continua a fare il pieno di emozioni, con il nuovo cortometraggio Riley’s First Date Il primo appuntamento di Riley, che sarà contenuto nella versione home video di Inside Out.

Gioia, Paura, Rabbia, Disgusto e Tristezza sono le cinque Emozioni basilari che guidano le nostre scelte e azioni, nella nostra vita di tutti i giorni, e fanno da straordinari protagonisti alla pellicola che ci prende per mano e guida in un viaggio onirico all’interno della mente umana.

La Walt Disney torna a dare forma al nostro immaginario, a plasmarlo attraverso il potentissimo mezzo dell’immaginazione, confezionando dei veri e propri gioielli di narrazione che resistono al tempo, emozionando il pubblico di ogni epoca e generazione. Del resto, se puoi sognarlo puoi farlo.

The Walking Dead – Perchè Glenn è ancora vivo (non c’entra il cassonetto)

A cura di Alexia Altieri
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C’è stato un immenso vociare attorno alla puntata 6×03 di The Walking DeadThank You. Siamo tutti scossi dalla stessa domanda:

“Glenn è morto davvero?”

Tra le tante teorie che si propongono di dimostrarne la sopravvivenza, oggi mi sono imbattuta in un “piccolo” dettaglio davvero interessante – che è passato completamente inosservato: Nicholas aveva finito i proiettili, ergo non può essersi sparato.
Nella scena in cui Glenn ripone la propria pistola – scarica, e tira fuori il coltello, si sente chiaramente il doppio click a segnalazione che anche la pistola di Nicholas è scarica. E se la morte di Glenn in realtà fosse un’allucinazione? Questa domanda è stata posta a Michael Traynor (interprete di Nicholas), il quale ha confermato che la teoria dell’allucinazione è totalmente plausibile, vista l’atmosfera febbrile in cui i due personaggi erano immersi. Inoltre, a supporto di questa ipotesi c’è anche da dire che Traynor non ha escluso la possibilità di rivedere Nicholas.

Si aggiunge altra carne al fuoco … e la nostra impazienza aumenta esponenzialmente insieme al sadismo degli autori!

Trailer ufficiale di Alice Through the Looking Glass

Salvare il Cappellaio Matto è tutta un questione di Tempo

La Walt Disney Pictures ha finalmente rilasciato il primo trailer ufficiale di Alice Through the Looking Glass – che ci rispedisce brutalmente in un Mondo delle Meraviglie che di meraviglioso sembra ormai avere ben poco.

Il film ripropone il cast di Alice in Wonderland – capolavoro di animazione, dall’inconfondibile gusto gotico dark di Tim Burton, il quale torna in veste di produttore.
Mia Wasikowska torna nei panni di una Alice ormai donna, uno straordinario Johnny Depp assume nuovamente le scalcinate (e irresistibili) fattezze Cappellaio Matto, Helena Bonhan Carter sarà ancora la Regina Rossa e Anne Hathaway la Regina Bianca; si aggiunge un nuovo personaggio, Tempo – interpretato da Sacha Baron Cohen, che destrutturerà la narrazione regalandoci qualche pillola prequel, rispetto alla storia che tutti conosciamo.

Diretto da James Bobin da una sceneggiatura di Linda Wolverton, il film farà il proprio debutto nelle sale il 27 Maggio 2016.

Sarebbe banale aggiungere che noi di Alice in Movieland non stiamo più nella pelle?
….. Ops, l’abbiamo già detto!

The Walking Dead 6 – Pausa di riflessione sul 6×04 e i due Promo del 6×05

A cura di Alexia Altieri
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Here’s Not Here – Questo quarto episodio segna una battuta d’arresto, gli autori sembrano strizzarci l’occhiolino e dirci: “Ok, potete fermarvi un attimo a riprendere fiato”.
E, visto il polverone alzato dalla morte (reale o presunta) di Glenn nell’episodio precedente, non potevano scegliere momento migliore per raccontarci cosa è successo nel tempo intercorso tra il Morgan psicopatico e la sua versione Zen.
Tuttavia, anche questa volta The Walking Dead riesce a sorprendere: la narrazione risulta godibile, sensata e, a tratti, emozionante in maniera inedita.

One Man Show

Morgan Jones è l’indiscusso uomo-puntata: protagonista di questa (snervante) pausa di riflessione.
Con chiaro rimando a Clear – episodio della terza stagione in cui vediamo riapparire un Morgan tormentato dai demoni interiori, mosso da una violenza cieca – ritroviamo il nostro protagonista in preda alla disperazione. Lo vediamo fare incetta di zombie sventrati, in cui intinge il bastone per scrivere con il sangue su tronchi, pietre e chi più ne ha più ne metta, parole che suonano come lapidari moniti, tra cui Clear – ripulire. Morgan brancola nella foresta, uccidendo zombie e innocenti, finché non incappa in una simpatica capretta, una baita in legno impreziosita da un orto rigoglioso e un’educata voce fuori campo che lo intima a riporre l’arma. Ovviamente, Morgan “Il Pulitore” non abbassa la guardia e lo sconosciuto è costretto a metterlo fuori gioco con un ponderato colpo di bastone.

Per cambiare il mondo bisogna cambiare sé stessi

Morgan si risveglia in una piccola cella improvvisata all’interno della casa e fa la conoscenza di Eastman, uno psichiatra di Atlanta – simbolo di rettitudine e integrità in un mondo corroso e ridotto allo sbando dalla mostruosa apocalisse zombie.
Eastman scuoterà Morgan dal torpore in cui era caduto a seguito dei tragici avvenimenti che ne hanno segnato inevitabilmente quel che ne rimaneva della sua esistenza, e lo ricondurrà verso una nuova consapevolezza.
Inizia così un intenso addestramento. Nella pace di una spiaggia all’alba, abbiamo la sensazione per un attimo di assistere a The Karate Kid: vediamo Eastman, nei panni di un improvvisato Mr. Han, maneggiare abilmente un bastone, istruendo Morgan all’akido – un’antica arte marziale giapponese che mira alla conquista della padronanza di sé stessi: meta raggiungibile soltanto attraverso l’acquisizione di una profonda conoscenza della propria natura interiore. Eastman innesta un meccanismo di redenzione in Morgan: lo erge ad una nuova filosofia di vita fondata su un imprescindibile dogma –“Tutte le vite sono preziose”.
Gli insegna il rispetto per la natura e per gli animali, invitandolo a nutrirsi di hamburger d’avena e formaggio di capra: un’inaspettata svolta veg in un mondo dominato da brutali cannibali.

Chi si fa gli affari suoi campa cent’anni

Ormai non è più un colpo di scena: ogniqualvolta un personaggio ha uno slancio di coraggio e decide di intromettersi per salvare la pelle di un compagno in difficoltà, ci lascia la sua. Ed ecco che quando Morgan si trova di fronte ad uno zombie con il volto martoriato del ragazzo che lui stesso ha ucciso senza motivo a inizio episodio, ha un attimo di disorientamento – molto più che un attimo. Quando Eastman si rende conto che quell’attesa potrebbe risultare fatale per il suo amico, non indugia e si lancia sul mostro – il quale prontamente lo “assaggia”, affondandogli un morso ben piazzato sulla schiena, prima di stramazzare al suolo.
Non sorprende che sia proprio il sacrificio l’ultimo atto compiuto da Eastman – figura quasi profetica, a cui la vita ha insegnato a duro prezzo che la vendetta non placa il dolore ma gli da ossigeno. La consapevolezza della propria imminente fine porta Eastman ad aprirsi con Morgan, confidandogli il suo tragico passato – che può essere sintetizzato nel nome di Dallas Wilton, carcerato psicopatico a cui Eastman negò l’attestato di sanità mentale e quindi la libertà. Dallas evase dal penitenziario in cui era recluso solo per massacrare fino ad uccidere la moglie e i figli dello psichiatra – il quale poi, a sua volta, l’ha rinchiuso nella piccola cella costruita ad hoc tra le mura della propria casa e l’ha osservato morire di fame. Stava andando ad Atlanta per costituirsi, quando ha preso coscienza di quello che stava accadendo – tuttavia, il suo mondo era crollato ben prima della fine di quello che tutti conosciamo.

Then

Tabitha

Questo episodio ci lascia un retrogusto amaro. In primis per la tragica dipartita della simpatica capretta Tabitha – e siamo già alla seconda stretta al cuore nel giro di sole quattro puntate.
In secundis per il commovente ultimo gesto di Eastman, che cede il proprio amuleto personale a Morgan – un oggetto che gli aveva regalato la figlia, il suo portafortuna.
Così si chiude un cerchio. Ma per una porta che si chiude, c’è subito un portone pronto a spalancarsi. Ed ecco che proprio negli ultimi minuti facciamo una scoperta che non promette nulla di buono: Morgan, sempre in bilico tra guerra e pace, ha avuto la brillante idea di tenere in ostaggio un esponente degli Wolves.
A tal riguardo, Gregory Nicotero – produttore dello show, ha dichiarato: “Morgan sta giocando con il fuoco”.
Morgan, non lo sai che il Lupo perde il pelo ma non il vizio?
Nel frattempo, qualcuno è arrivato alle porte di Alexandria e intima concitatamente di aprire il cancello – la voce non ci è nuova: sei tu, Rick?

Anticipazioni Episodio 6×05 – Now

Dopo questo viaggio nel passato, portiamo avanti i nostri orologi e torniamo all’Oggi – Now.

Dai promo disponibili, è subito chiaro che verremo ri-catapultati violentemente al presente che ben conosciamo: nessun dolce risveglio da questa temporanea amnesia atemporale.
Siamo nuovamente di fronte ad un branco di zombie affamati che circuiscono Abraham, Sasha e Daryl – non ha fatto a tempo a scendere dalla moto che già è nei guai.

Siamo nuovamente immersi nello scenario mortifero dell’ex self zone Alexandria – dove i sopravvissuti ripuliscono le strade dai cadaveri e Jessie chiude il siparietto di pochi secondi con un poco raccomandabile: “Se non combattiamo, moriamo”.
Ci risiamo.
E poi c’è Maggie che si mette in viaggio alla ricerca di qualcosa, o qualcuno. La vera domanda non è se lo troverà, ma cosa troverà – a tal proposito, abbiamo fatto un’amara constatazione: il nome di Steven Yeun (Glenn) non è comparso tra i titoli di testa. Strategia o dura realtà?
Ai posteri l’ardua sentenza.