Un’Occasione da Dio di Terry Jones

Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Settembre 2015 – Anno II – N.08 – [Pagg. 72-74] (download qui)

Nessuna arca da costruire e nessun Dio in smoking bianco con le sembianze di Morgan Freeman: Un’occasione da Dio si discosta completamente dai precedenti Una settimana da Dio e il suo spin-off Un’impresa da Dio, portando sul grande schermo una comicità old school, senza alcuna traccia di cinismo o malizia.
Il film è diretto da Terry Jones, il quale si è dichiaratamente ispirato al romanzo L’uomo che faceva miracoli redatto da Herbert George Wells nel 1898.
La pellicola si apre su uno scenario fantascientifico con un consiglio intergalattico di bizzarri alieni animati in live action che discutono sul futuro della Terra: prima di annientarla, però, decidono di conferire a un terrestre a caso il potere divino di poter far accadere ogni cosa voglia. In questo modo, qualora le azioni dell’uomo in questione fossero ritenute animate da fini nobili, il nostro pianeta avrebbe potuto salvarsi dalla Fine. Sfortunatamente, l’uomo designato come presunto “salvatore del pianeta” è un insegnante inetto e pasticcione, dalla proverbiale sfortuna in ogni campo, di nome Neil Clark (Simon Pegg).


La trama scorre leggera attraverso una serie di siparietti, alcuni esilaranti, altri macchiati di prevedibilità e cliché già esaurientemente rivisitati in pellicole di questo genere. Così, Neil – l’uomo nelle cui mani risiede l’enorme responsabilità di salvare il mondo dalla catastrofe – beneficia dei suoi poteri per far in modo che i bisogni del suo cane Dennis (Mojo) si auto-puliscano, per far resuscitare i morti o provare l’ebrezza di essere il Presidente degli Stati Uniti per pochi minuti. Tra una strofinata e l’altra alla sua personalissima Lampada di Aladdin, Neil finisce per trasformare il suo collega in una specie di divinità induista, per aprire una voragine nel soffitto di Catherine (Kate Beckinsale), la vicina di casa che vorrebbe conquistare, solo per poterla ammirare di nascosto, e dà la parola al proprio fedele amico a quattro zampe. Dennis è la vera star del film, non solo per le brillanti battute che non mancano mai di far nascere un sorriso sul viso dello spettatore, ma anche perché la sua voce originale appartiene al compianto e indimenticabile Robin Williams.
Un’opera, questa, da gustare tutta d’un fiato, dove i cattivi non fanno davvero paura e il mondo sarà salvato nientemeno che dall’astuzia del simpatico cagnolino, Dennis: insomma, una sospensione dell’incredulità è necessaria per goderne appieno! Poi, se tornando a casa, vi verrà naturale agitare la mano per aprire la porta d’ingresso, allora les jeux sont fait!

The Walking Dead – Anticipazioni e curiosità sull’attesissima 6° Stagione

Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Settembre 2015 – Anno II – N.08 – [Pagg. 89-92] (download qui)

The Walking Dead è indubbiamente la serie televisiva statunitense più vista di tutti i tempi! Creata dal regista di Il miglio verde, Frank Darabont, la serie si basa sull’omonima serie a fumetti scritta da Robert Kirkman e illustrata da Tony Moore e Charlie Adlard.
Non è più la nostra serie, abbiamo delle responsabilità nei confronti dei nostri fan” – dice Andrew Lincoln, interprete del protagonista della serie, Rick Grimes, in occasione del Comic Con di San Diego del 2014.

Ed è proprio così, poiché The Walking Dead si può facilmente definire un fenomeno culturale, le cui tematiche vanno ben oltre gli zombie e i soliti ben consolidati topoi del cinema horror: la serie di Darabont parla di emozioni autentiche, di rapporti umani, di istinto di sopravvivenza e del labile confine che differenzia i buoni dai cattivi. Nonostante la presenza di esseri surreali, quali sono gli zombie, in The Walking Dead è tutto molto realistico e tangibile: negli episodi la parola zombie non viene mai usata – sostituita da appellativi, tipo “ambulanti” – proprio per infondere una maggiore credibilità alla storia.

Disperazione, gelosia, ossessione e malvagità si mescolano in un cocktail potenzialmente fatale che accomuna tutti i sopravvissuti sotto il segno di esseri umani fallibili e deboli, in cui il pubblico non fatica a immedesimarsi. Sullo sfondo di un futuro distopico e apocalittico, i protagonisti della serie sono chiamati a vivere una situazione al limite che li porterà a spogliarsi di etichette ormai futili, e a ritrovare i propri istinti primordiali, uno fra tutti quello di sopravvivenza.

Rick Grimes fa da guida a questo gruppo di anime, smarrite in uno scenario che ricorda molto quello di La strada, romanzo di Cormac McCarthy, in cui ogni riferimento è perso, e ogni forma di quotidianità e “normalità” è andata sgretolandosi sotto i loro piedi. Rick era un poliziotto, questa la sua posizione in una società di cui ormai non è rimasta traccia dopo la diffusione dell’epidemia che ha ridotto la maggior parte della popolazione mondiale a creature non-morte, animate unicamente da un insaziabile impulso cannibalistico. Un uomo dai forti principi morali che diviene suo malgrado leader del gruppo ma, strada facendo, qualcosa in lui si spezza, il suo spirito vacilla e una parte di lui si smarrisce. Prima ancora di essere un uomo, Rick è un genitore e il suo unico scopo diventa quello di garantire, giorno per giorno, l’incolumità dei suoi due figli: Judith e Carl.

Il leitmotiv di The Walking Dead, e probabilmente anche il segreto del suo successo, è che niente e nessuno è intoccabile: tutti possono morire, anche gli innocenti. La trama non risparmia nessuno e il pubblico non può che struggersi nel vedere cadere la testa del buon Hershel Greene (Scott Wilson) e gioire al soccombere la minaccia de Il Governatore (David Morrissey): quando regna il caos è la legge del più forte a prevalere.

Ma bando ai convenevoli! Il 12 ottobre 2015 andrà in onda in Italia il primo episodio della sesta stagione della serie – il cui trailer anticipa un’amplificazione del pathos e un moltiplicarsi di contrasti e tensioni. Come figura anche nella locandina ufficiale, la stagione sarà incentrata particolarmente sulla contrapposizione tra Rick e Morgan, due uomini che sono profondamente cambiati nel corso degli episodi: l’uno vede nel contrattacco l’unica possibilità di sopravvivenza, l’altro è animato da intenti pacifici. Sostanzialmente quello che differenzia in modo consistente i due uomini è, come lo stesso Lennie James (interprete di Morgan) ha affermato in occasione del Comic Con a San Diego, che “Morgan ora è in pace […] Il suo nuovo stile di vita lo metterà in conflitto non solo con Rick, ma anche con tutta la comunità di Alexandria. La differenza fondamentale tra lui e Rick è che Rick ogni mattina si sveglia pensando ‘Che cosa posso fare per il mio gruppo?’ mentre Morgan, da quando ha perso suo figlio Duane, si chiede ‘Che cosa posso fare per me?’


Nel corso di queste stagioni di The Walking Dead, se c’è una cosa che abbiamo imparato è che la tranquillità è un’illusione: ogniqualvolta i sopravvissuti credevano di aver trovato un luogo sicuro da cui poter ricominciare, ecco che tutto finiva nuovamente in tragedia. È il caso della fattoria in cui in origine vivevano Hershel e le sue figlie, Beth (Emily Kinney) e Maggie (Lauren Cohan), cui poi è seguita la prigione, che ha visto dimezzarsi il gruppo per via di una grave malattia infettiva polmonare, e poi ancora Woodbury – in cui regnava una pace apparente, più finta dell’integrità di chi governava -, il raccapricciante Terminus e infine Alexandria.
Alexandria sarà davvero un nuovo punto di partenza? Rick non sembra voler abbassare la guardia, e lo vediamo apparire nel trailer con uno sguardo acceso di una luce diversa – sinistra, folle.
C’è un altro grande dubbio sollevato dal trailer: la donna che vediamo essere in procinto di essere sbranata dagli zombie è Maggie?

Seppure l’episodio finale della quinta stagione non abbia presentato un cliffhanger clamoroso, gli interrogativi cui troveremo risposta nella nuova stagione sono davvero tanti. Un mistero da risolvere è quello della W incisa sulla fronte di alcuni cadaveri – sembra sia l’iniziale di Wolves, uno spietato gruppo di assassini di cui Andrew Lincoln parla in questi termini:
È un’enorme minaccia, in un certo senso è la tempesta perfetta”.
Manca pochissimo ormai. Gli zombie stanno tornando, pronti a divorare nuovi picchi d’ascolti e, con loro, anche il nostro gruppo preferito di sopravvissuti, al fianco del loro leader (lo sarà ancora?) Rick, la cui promessa rimane sempre valida: “Faccio del mio meglio per restare vivo”.

Jake Gyllenhaal – Un attore dai mille volti

Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Settembre 2015 – Anno II – N.08 – [Pagg. 19-23] (download qui)

Jacob Benjamin Gyllenhaal nasce a Los Angeles il 19 dicembre 1980. Figlio d’arte: con il padre regista, la madre sceneggiatrice e la sorella attrice non si può negare che Jake abbia davvero il cinema nel DNA! La sua carriera inizia, infatti, fin da bambino, quando a 10 anni appare sul grande schermo nella commedia Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche (Ron Underwood, 1991). Il debutto vero e proprio arriverà, però, qualche anno più tardi con il film Cielo d’ottobre (Joe Johnston, 1999) – film basato sull’autobiografia di Homer Hickam Jr, ingegnere spaziale della Nasa. Jake inizia a farsi strada nel mondo di celluloide indossando i sogni e le ambizioni di un ragazzino nato in una piccola città mineraria della Virginia nel 1957 con una smodata passione per il cielo, che riesce a diventare un tecnico spaziale e a lanciare il primo razzo nello spazio. Tuttavia, la porta d’ingresso per far breccia nel cuore degli spettatori è rappresentata da Donnie Darko (Richard Kelly, 2001) – un cult cinematografico il cui significato non è universale, bensì desumibile attraverso innumerevoli chiavi di lettura.

Un film a cui è impossibile apporre un’etichetta, surreale e pregno di ermetismo: ciononostante l’allucinatorio mondo, volutamente deformato, che il regista ci mostra attraverso la lente della schizofrenia di cui il protagonista Donnie è affetto, riesce ad emozionare – giocando sul campo espressivo dell’inconscio. Appartengono a Gyllenhaal quegli occhi chiari e folli, illuminati della stessa luce sinistra di cui brilla il film.


La carriera di Jake continua tra pellicole indipendenti – come l’ambiguo The Good Girl (Miguel Arteta, 2002) in bilico tra commedia e dramma, al fianco di Jennifer Aniston – a film “pop-corn” come il fantascientifico campione d’incassi The Day After Tomorrow (Roland Emmerich, 2004) o Prince of Persia: Le sabbie del tempo (Mike Newell, 2010), dalle tinte arcade. Nell’ultimo periodo, l’attore ha iniziato a dare sempre meno peso alle previsioni di Box Office e a prender parte a copioni più complessi, tra cui è doveroso citare i due thriller al cardiopalma diretti da Denis Villeneuve: l’ossessivo Prisoners ed il criptico Enemy. Ma quella che è da definirsi una vera e propria performance degna di nota è senz’altro quella nei panni dell’immorale e perverso paparazzo di cronaca nera Lou in Lo sciacallo (Dan Gilroy, 2014): un thriller capace di entrare sottopelle e stimolare una triste riflessione sulla società in cui viviamo, in cui il dissoluto consumismo e la totale assenza di scrupoli fanno da sovrani.


Jake traccia, con un’interpretazione da Oscar, il profilo di un sociopatico, figlio di una società malata che ha venduto l’anima al diavolo dei mass media in cambio di denaro sporco. Lou si macchia di un perverso voyeurismo che lo spinge a collezionare immagini brutali di sangue e dolore, da riciclare in prima serata per un pubblico che, seppur senza “sporcarsi le mani”, fa il suo gioco. Ed in effetti, è proprio questo il motore che fa funzionare la trama: il pubblico finisce per fare il tifo per quel subdolo antieroe. Lo sciacallo rimarrà per Jake un ricordo incancellabile – letteralmente:
Eravamo nel mezzo di una scena dove c’era uno specchio – ricorda l’attore – e io ho tirato un pugno nello specchio. […] È stata una decisione presa in quel momento”.
Se per questa parte l’attore ha dovuto perdere oltre 13 chili, la lavorazione del recentissimo Southpaw – L’ultima sfida (Antoine Fuqua, 2015) gli ha imposto un duro training per poter arrivare ad avere una muscolatura da pugile professionista.


Southpaw
narra la storia di Billy “The Great” Hope, il campione di pesi massimi mancino – da qui il titolo – la cui vita prende inaspettatamente una piega tragica. Per confezionare questo film, il regista ha scelto la via del realismo: non è stata prevista nessuna controfigura per Jake – il quale aveva chiaro fin dall’inizio a cosa sarebbe andato incontro, come lui stesso afferma:
Antoine mi ha avvisato subito: ‘C’è solo una parola per spiegarti come fare, ed è sacrificio’. […] Fuqua mi ha detto: ‘Non possiamo bluffare come avviene in tanti film sulla boxe. Se vogliamo fare qualcosa di diverso, dobbiamo girare per davvero, il che vuol dire che non avrai una controfigura e che tutto sarà ripreso come se stesse accadendo in quel momento. Quindi dovrai imparare a combattere’. […] ero costantemente ossessionato da questa paura: sembrerò un’idiota quando salirò là sopra”.
In origine la pellicola era stata pensata per essere il sequel di 8 Mile, con Eminem nuovamente nei panni del protagonista, tuttavia del rapper resta traccia solo in un brano della colonna sonora del film. La trama non si discosta eccessivamente dall’immaginario del mondo della boxe che ormai è ben radicato a livello cinematografico: plasmato dalle pellicole che hanno fatto la storia del cinema, a cui Jake si è dichiaratamente ispirato – “Amavo molto Rocky come tutti i ragazzi degli anni Ottanta, sono diventato attore anche grazie a Toro Scatenato, ma non ero mai salito sul ring”.
Il film viene costruito sulla falsariga di un noto metatesto cinefilo: per risalire dall’abisso della sua sofferenza e tornare a combattere, Billy deve imparare a difendersi – a usare l’astuzia e frenare la rabbia, avvalendosi anche del prezioso aiuto dell’allenatore che ha il volto di Forest Whitaker.
In parallelo, abbiamo visto l’attore alle prese con un’interpretazione diametralmente opposta a quella del pugile violento: parlo di Scott Fischer, impavido protagonista di Everest di Baltasar Kormákur – la pellicola a cui è stato concesso l’onore di aprire la 72° edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

Il film è basato sulla trama del romanzo di Jon Krakauer, Aria sottile e narra la straordinaria quanto tragica impresa di un gruppo di scalatori che nel 1996 perse la vita nel tentativo di raggiungere la cima dell’Everest. Jake ne parla in questi termini: “Questa storia parla di ciò che un essere umano è disposto a fare nelle peggiori condizioni pur di sopravvivere e non arrendersi, soprattutto quando arrendersi sarebbe così facile”.


L’attore ci mostra due delle infinite ed inesplorate facce a cui lo vedremo prestare il proprio volto – l’una plasmata dal coraggio, l’altra deformata da un ghigno di rabbiosa sete di vendetta: “(Sono) Un amante delle sfide. E non solo al cinema, anche se quelle in Everest e Southpark sono state parecchio impegnative”.
Jake Gyllenhaal è forse il più camaleontico tra le giovani promesse del cinema contemporaneo e promette di arrivare in cima alle classifiche, mossa dalla determinazione di un pugile prima di salire sul ring.
Alla prossima sfida, Jake!

La nuova promessa di Hollywood dal fascino british e romantico

Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Agosto 2015 – Anno II – N.07 – [Pagg. 56-60] (download qui)

Ormai è assodato che dietro al nome di Eddie Redmayne, e al suo volto da bambino compenetrato da un fascino da perfetto lord inglese, si nasconde una nuova promessa del cinema.
Edward John David Redmayne nasce a Londra nel gennaio 1982, in una famiglia abbiente che gli permette di frequentare lo stesso Eton College del Principe William e laurearsi in storia dell’arte all’Università di Cambridge – la stessa che ha frequentato a suo tempo Stephen Hawking. Curiosa coincidenza poiché proprio l’interpretazione del rinomato astrofisico segnerà la scalata al successo del giovane Eddie, il cui primo passo è degnamente rappresentato dalla vittoria della preziosa statuetta dorata come Miglior Attore. Mosso da un’irrefrenabile passione per la recitazione, Eddie si divide tra il palcoscenico teatrale, che calpesta in onore di affascinanti opere shakespeariane, le serie televisive cui prende parte e il suo vero amore: il grande schermo. Seppur figlio della Londra aristocratica, Eddie è caratterizzato da una profonda umiltà e riesce a fare tesoro di ogni esperienza:
[…] i personaggi di Shakespeare sono icone tanto quanto Hawking. Ti ci devi avvicinare allo stesso modo, gli spettatori conoscono già quello che porterai in scena”.


Le opere di Shakespeare hanno valenza profetica nella vita del giovane attore, la cui prima parte teatrale importante è quella di Viola nella commedia shakespeariana La dodicesima notte – una ragazza che ha la bizzarra abitudine di travestirsi da uomo. I critici, che hanno molto apprezzato la sua performance, hanno asserito che con quella bocca potrebbe interpretare chiunque ed oggi, più che mai, Eddie conferma appieno la loro tesi con l’interpretazione del primo Transgender della storia – Einar Wegener in The Danish Girl (Tom Hooper, 2015). Il film, ispirato all’omonimo romanzo di David Ebershoff, è stato presentato alla 72° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed ha tutta l’aria di essere destinato a diventare un successo.

Ma partiamo dal principio – Eddie approda al cinema nel 2006, senza sapere assolutamente nulla sul linguaggio cinematografico: è Scarlett Johansson che gli fornisce un elenco di film che deve assolutamente vedere se vuole diventare un attore. Le sue prime apparizioni sono sancite dal film corale The Good Sheperd – L’Ombra del potere di Robert De Niro, composto da un cast a dir poco stellare in cui il giovane Eddie si ritrova due divi come genitori, Matt Damon e Angelina Jolie; in Savage Grace (Tom Kalin, 2007) è nuovamente figlio di un’attrice da Oscar, Julianne Moore, mentre in Elizabeth: The Golden Age (Shekhar Kapur, 2007) indossa i panni di un nobiluomo di quell’epoca che cerca di far scacco matto alla regina – interpretata da una splendida Cate Blanchett – e veste nuovamente costumi storici in L’altra donna del re (Justin Chadwick, 2008). Nel 2012 prende parte al musical diretto da Tom Hooper, Les Misérables in cui dimostra di avere anche delle notevoli doti canore – tanto che, come l’attore stesso rivela:

Ogni intervista durante il press tour finiva con la richiesta di cantare qualcosa”.


Un viso d’angelo, una voce melodiosa, un impeccabile stile british e un look che l’ha reso immagine ufficiale del marchio Burberry nel 2008 e nel 2012: Eddie Redmayne è un ragazzo fortunato e talentuoso, per cui non è difficile immaginare un futuro radioso. La teoria del tutto di James Marsh ha senz’altro rappresentato per l’attore un trampolino di lancio verso il firmamento hollywoodiano: con al centro una delle menti più eccelse di sempre, il Professor Stephen Hawking, la trama del film si articola attorno alla singolare e straordinaria storia d’amore tra l’astrofisico e la sua Jane. Lui, promettente universitario appassionato di cosmologia, con un approccio alla vita di matrice scientifica, determinato a scoprire una formula matematica, una “teoria del tutto” che trovi un significato all’azione congiunta di tutte le forze dell’Universo; e lei, studentessa di Lettere, con un animo delicato, guidato dai moti delle emozioni e ben saldo nella fede. James Marsh ci racconta Hawking senza far complicati riferimenti alle sue teorie, lasciando perlopiù fuori campo quel lato intellettuale che ha reso il suo nome marchio indelebile di conoscenza e saggezza, e ponendo sotto i riflettori, il lato umano di un amore incondizionato e una vita scandita dal progredire di una malattia terribile. In particolare, il regista fa leva sul concetto di forza, di attaccamento alla vita che va oltre ogni congettura scientifica e ogni teoria – quell’energia inspiegabile per cui la medicina aveva condannato lo scienziato al verdetto inevitabile di due anni di sopravvivenza, e oggi Hawking è ultrasettantenne. Per Eddie interpretare Hawking è stata una notevole sfida, soprattutto per la difficoltà nell’interiorizzare la malattia.
Eddie ha dovuto capire a fondo le quattro fasi della malattia e interiorizzarle: la normalità, poi un bastone, due bastoni, la sedia a rotelle e poi perdere la voce”.

Marsh riassume in fasi il complicato lavoro attoriale fatto dal giovane Eddie – il quale ne approfondisce alcuni aspetti:
[…] Per capire qual era stato il percorso di decadimento fisico affrontato da Stephen quello che ho fatto è stato prendere il maggior numero possibile di foto di Stephen da giovane e mostrarle agli specialisti […] seguendo questo criterio sono riuscito a fare una sorta di mappatura dei suoi muscoli e del loro progressivo decadimento in rapporto agli anni”.
[…]Nella fase successiva ho lavorato con una fantastica coreografa e insieme abbiamo riflettuto su come interpretare la malattia a livello fisico”.
Un lavoro straordinario, a tal punto che durante la prima del film, lo stesso Hawking si è emozionato:

“A tratti credevo di essere io”.

Stephen ha contribuito attivamente all’eccezionale risultato del film, sia recandosi direttamente sul set durante le prime riprese, sia prestando la propria vera voce come chiosa finale del film: inconfondibile, sintetizzata dai macchinari che gli permettono di parlare. Un’opera straordinaria che ha ricevuto i meritati riconoscimenti da pubblico e critica. Eddie, un interprete straordinario, il cui segreto per il successo risiede nella sua sconfinata umanità – per cui, una volta ricevuta l’ambita statuetta a consacrazione della magnificenza del lavoro svolto, la sua pronta reazione è stata puntare il dito verso la sua mogliettina, Hannah Bagshawe, e pronunciare solenne: “Hannah, I love you so much”.

Come già anticipato, vedremo presto l’attore fronteggiare un altra notevole sfida: affrontare un tema sensibile come la transessualità, interpretando il primo uomo al mondo che, nel Novecento, si è sottoposto ad una serie di interventi chirurgici per poter diventare donna, potrebbe garantirgli un secondo Oscar. Non è stato semplice per Eddie prepararsi a questo ruolo, poiché ha dovuto imparare a guardare la vita da un’angolazione diametralmente opposta alla propria:
Abbiamo cercato di guardare tutto attraverso un’ottica femminile. Come sedersi, come camminare, come rimanere in posa, come mettersi un paio di calze, come indossare un paio di tacchi e come camminarci. Tutto”.
Guardando al futuro, tra i prossimi progetti della giovane stella del cinema c’è Gli animali fantastici: dove trovarli, tratto dall’omonimo romanzo dell’autrice della saga di Harry Potter, J.K. Rowling. Il film spin-off della saga, la cui uscita è prevista per novembre 2016, dedicato alla Magizoologia – ergo lo studio delle creature magiche – materia fondamentale per gli studenti di Hogwarts, in cui Eddie interpreterà il magizoologo Newt Scamandro. Il regista, David Yates, si è definito entusiasta dell’ingaggio dell’attore:
Eddie è un attore straordinario, senza paura, pieno d’iniziativa, intelligente e sensibile. Non posso che essere eccitato all’idea di lavorare con lui in questa nuova avventura nel magico mondo di J.K. Rowling, e so per certo che anche lei prova le stesse cose”.
Non possiamo che attendere con trepidazione di vedere un nuovo volto del poliedrico Eddie Redmayne e fare il tifo per lui: “Eddie, We love you so much”!