I mille volti di una Diva da Oscar – Meryl Streep

Fonte: NewsCinema

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Aprile 2015 – Anno II – N.04 – [Pagg. 31-35]
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Il 22 giugno 1949 viene al mondo Mary Louise, che dalla mamma eredita il tenero appellativo di Meryl ed una deliziosa voce da soprano, che affina prendendo lezioni di canto. Tuttavia, fin da giovanissima è attratta dalla recitazione – inizialmente per quanto riguarda il mondo del musical, finchè prende coscienza di un’innata propensione alla recitazione drammatica e vince il premio Bachelor of Arts alla Vassar College. La sua nomina di “attrice più premiata nel mondo della celluloide”, ha origine fin da allora.

Debutta sul grande schermo con Giulia (Fred Zinnemann, 1977) – un dramma femminile ambientato durante la seconda guerra mondiale – e, da quel giorno, inizia una brillante e multi-sfaccettata carriera che la condurranno al raggiungimento di numeri da record – ad oggi, un totale di 19 nomination agli Oscar, di cui 3 vittorie – e, tra gli altri riconoscimenti, 29 candidature ai Golden Globes, di cui 8 vittorie. Meryl è una star, un’icona del cinema moderno, la cui luce splendente nel firmamento hollywoodiano non accenna ad affievolirsi neanche oggi, all’età di sessantacinque anni. L’attrice conquista 3 statuette: nel 1980, per l’interpretazione di una madre che, al rapporto con suo figlio, sceglie la propria autoaffermazione in Kramer contro Kramer, e nel 1983 in La Scelta di Sophie, nel ruolo di una madre costretta a compiere una scelta difficile che le lascerà un segno indelebile nell’anima per tutto il resto della sua vita. La terza statuetta la vince con l’interpretazione di Margaret Thatcher, unica donna ad essere stata Primo Ministro britannico – una donna ambiziosa e determinata, dal temperamento di ferro: The Iron Lady.

Dalla sublime raffinatezza e manierismo interpretativo, la Streep ha saputo reinventarsi in una galleria di volti femminili – dalla complessità di eroine avvolte nel melodramma di scenari di guerra ed Olocausto, alle brillanti reginette dai picchi ironici, nei cui panni l’attrice – commediante nata – letteralmente scompare. La morte ti fa bella è un ottimo esempio di satira, kitsch ed irriverente, in cui Meryl Streep risplende e dona credibilità ad un personaggio estremamente grottesco, che insegue affannosamente l’illusione di un’eterna giovinezza, anche a costo di andare in pezzi – letteralmente. Film virulento, che critica ferocemente una società che celebra e si fonda unicamente sui principi di bellezza e giovinezza – da cui risultano tante indistinguibili macchiette senza un’identità, senza un’anima. Questo aspetto viene esasperato dal personaggio di Meryl Streep e dalla sua amica/nemica interpretata da Goldie Hawn, che finiscono per diventare due morti viventi – è doveroso citare la scena in cui la Streep appare con la faccia girata a 180° sul collo, o quella in cui la Hawn ha un enorme buco in mezzo allo stomaco e gli occhi di ghiaccio.

Tutt’altro che ironico è il tono di The Iron Lady – che si auto-configura come una riflessione, compiuta a ritroso, sulla vita di una donna che ha guidato con tenacia e fermezza un centinaio di menti, prima di essere costretta dalla demenza senile ed un principio di Alzheimer, a brancolare nel buio della propria mente, confondendo continuamente presente e passato in un vortice di emozioni senza né tempo nè orientamento.

Per me è stato un privilegio essere Margaret – sostiene l’attrice – frugare dentro un personaggio così complesso e decisivo nella storia mondiale, ma i cui risvolti emotivi ed interiori mi sono sempre stati oscuri ed hanno suscitato, non solo in me, ma in tutti, molta curiosità”.

È una storia a suo modo universale, che può essere quella di tutti noi – amplificata dai tratti epici che hanno caratterizzato la vita di una vera leader – che, ad un certo punto, si trova ad un capolinea imposto dal tempo; e ci si ritrova a vagare tra i sentieri tortuosi della propria mente, senza più punti di riferimento od indicazioni.

Meryl Streep parla del personaggio in questi termini:

Questo, però, non è stato facile da interpretare. È una sfida; ma quando arrivi alla mia età, ti sembra di avere ancora vent’anni, quindi non è stato un grande problema. Una parte di me si sente ancora la stessa persona di quando avevo 16 anni, o 26, o 56. Hai accesso a tutte le persone e a tutte le età che hai già vissuto. Credo sia questo il grande vantaggio, se ne esiste uno, di diventare vecchi”.

Il film è straordinariamente apolitico, nonostante parli della vita di una donna che è riuscita ad imporsi sullo scenario istituzionale britannico di un’epoca in cui la sua presenza non era che una chiazza rosa all’interno di un mondo monocromatico, fatto di uniformi scure e colletti bianchi, ben stirati da mogli che – a quel tempo – non erano nulla più che una sintesi di faccende domestiche, doveri genitoriali e coniugali e fornelli.

Johanna, la protagonista di Kramer contro Kramer, interpretata da Meryl, è esattamente quel genere di donna stanca di essere costretta e ridotta alla definizione di madre o moglie, tipica degli anni Ottanta, e decide di reagire alla sua profonda infelicità ed insoddisfazione lasciando la propria famiglia per andare alla ricerca di sé stessa – della realizzazione personale come donna. L’attrice, a suo modo, giustifica la scelta di questa donna che è emblema di un sistema sociale che sta cambiando:

Quando facevamo il film, nessuno capiva una donna che voleva lasciare marito e figlio perché sentiva che la mente la stava abbandonando. Ora ne sappiamo di più di queste cose, e la capiamo – ma all’epoca nessuno la perdonava”.

Dai panni di donne che si fanno testimonianza e sigillo di una società che sta cambiando, agli abiti griffati di una contemporanea donna in carriera che ha piena coscienza della propria autorità, nel 2006, Meryl diventa Miranda Priestley – personaggio ricalcato sulla personalità di Anna Wintour, la spietata direttrice di Vogue America. In un tripudio di ironia velenosa, dialoghi brillanti, scarpe Manolo Blanik, foulard Hermès e completi Prada, l’attrice si distingue ancora una volta per un’interpretazione riuscitissima – anche quando si “traveste da cattiva”, la Streep riesce a conquistare il cuore del pubblico ed i favori della critica. Da un surrogato di Crudelia DeMon, l’attrice, nel recente Into the Woods, indossa la maschera sdentata, con i capelli arruffati e turchini di una perfida e perfetta strega da fiaba.

Non sarà la più bella del reame, ma senz’altro è la diva da Oscar per antonomasia della Hollywood di ieri, e di oggi. Ci ha emozionato in ruoli ad alto valore empatico, commosso attraverso gli occhi vuoti di realtà e pieni di ricordi di una donna di ferro, affascinato dietro gli occhiali spessi e costosi dell’intransigente Diavolo di un Inferno che ha i colori fluo delle riviste di moda e le luci delle passerelle, sorpresi e convinti nei panni di grottesche signore alla ricerca spasmodica di un fantomatico elisir di eterna giovinezza.
Una cosa è certa, Meryl Streep la formula per l’immortalità l’ha trovata, quantomeno nel cuore di chi ama il cinema e apprezzerà i suoi mille volti filmici senza tempo e senza data di scadenza. Lunga vita a Meryl!

C’era una volta – Dalle fiabe, al cinema e alle serie TV

Fonte: NewsCinema

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Aprile 2015 – Anno II – N.04 – [Pagg. 27-30]
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Jacob Ludwig Karl Grimm e Wihelm Karl Grimm – meglio noti come i Fratelli Grimm, erano dei filologi e linguisti tedeschi, padri fondatori della germanistica, celebri nell’immaginario collettivo per le loro rielaborazioni in chiave dark di fiabe appartenenti alla tradizione popolare tedesca. Le loro favole non erano adatte ai bambini – scenari cupi, fitte foreste popolate da creature sinistre, come streghe, goblin e lupi famelici, ed avvenimenti cruenti.

Into the Woods (Rob Marshall, 2014) nasce come adattamento cinematografico dell’omonimo musical di Stephen Sondheim, ed intreccia – ambientato in un mondo fittizio al confine tra le favole che, da sempre, promettono il lieto fine, e la realtà, in cui la felicità deriva dal sacrificio e nessuno vive “per sempre felice e contento”.

Il regista trae l’ispirazione, che lo porterà a decidere di girare questo film, da un discorso tenuto dal presidente Barack Obama, in occasione dell’anniversario della tragedia terroristica del 11 Settembre – Obama, pronuncia la seguente frase: “Non siete soli, nessuno è solo”. No One is Alone è anche il titolo della canzone più famosa dello spettacolo teatrale originale; pertanto Marshall coglie in queste parole la rilevanza che il musical di Sondheim avrebbe potuto avere nell’epoca contemporanea, per la generazione post 11 Settembre.

In questa pellicola, Marshall rivisita in chiave moderna, alcune tra le fiabe più celebri e tradizionali – Cappuccetto Rosso, Jack e il fagiolo magico, Cenerentola e Raperonzolo – sfruttando l’atmosfera dolceamara di una foresta ricca di fascino e di insidie, che sembra nascere dalla penna dei Grimm.

Se fra le mura dei castelli della Disney, l’aria è profumata, ed “i sogni son desideri di felicità”, Marshall ci mostra l’altra faccia della medaglia – la conseguenza dei nostri desideri, quello che accade quando cala il sipario e tutto ciò che “C’era una volta” cessa di essere utopia e si traspone in deprecabile realtà. Il regista sostiene:

Ho sempre amato questo spettacolo, sin da quando lo vidi inscenato dalla compagnia originale nel 1987. È una combinazione unica di personaggi classici che s’incontrano e creano un affresco incredibilmente profondo, che esplora ciò che accade dopo il “tutti felici e contenti”.

Il fulcro di questa antologia è il viaggio di una coppia di popolani, il fornaio (James Corden) e sua moglie (Emily Blunt), impossibilitata ad avere figli a seguito di un maleficio inflittole – che s’inoltrano nel bosco alla ricerca di tutto l’occorrente necessario a guadagnarsi l’aiuto della strega (Meryl Streep) nel rompere l’incantesimo, in modo da permettergli finalmente di creare una famiglia. Paradossalmente, l’attrice Emily Blunt, invece, era realmente incinta durante le riprese.

Tra le altre querce scure e austere di questa immensa foresta incantata, sul confine tra sogno e disillusione, dove ci si perde per ritrovarsi, i due protagonisti incontrano i volti che ci hanno tenuto compagnia, persi nelle nostre favole della buona notte, ingialliti tra le pagine di vecchi libri per bambini – Cappuccetto Rosso (Lilla Crawford) ed il suo colorato Lupo Cattivo (Johnny Depp), Rapunzel (Mackenzie Mauzy), segregata nella sua torre, Cenerentola (Anna Kendrick) intrappolata nella frenesia della sua fuga da palazzo, e Jack (Daniel Huttlestone) che venderà l’amata mucca Biancolatte, in cambio di cinque fagioli magici da cui nasceranno piante altissime, dimora di giganti minacciosi.

Ma, a dispetto delle difficoltà, quando tutto sembrava essersi concluso per il meglio – come in ogni fiaba che si rispetti, la trama subisce un ribaltamento inatteso e totale. Vengono introdotti temi contemporanei come il tradimento di un principe mascalzone, la reclusione, l’avidità di una madre che martoria le sue figlie pur di fargli calzare la scarpetta che le renderebbe altolocate, l’abbandono di un padre e la disobbedienza del piccolo Jack.

Uno scenario, insomma, tutt’altro che auspicabile, nonostante nasca da una matrice favolistica. Questo è motivo di liaison tra Into the Woods e la recente e fortunata serie televisiva degli ABC Studios, Once Upon A Time (2011). Anch’essa si basa sul ricontestualizzare nel presente, un ricco cocktail di grandi classici fantasy. Ideata da Edward Kitsis e Adam Horowitz, nasce per essere una storia sulla speranza – “Per noi, questo vuol dire fiaba. L’abilità di pensare che la vita andrà meglio. […] Adam ed io volevamo scrivere semplicemente qualcosa che parlasse di speranza, che – per un’ora a settimana – potesse trasportarci e farci sentire che ogni nostro sogno potrebbe divenire realtà”.

Emma Swan (Jennifer Morrison) è protagonista indiscussa – figlia di una coppia da favola, Biancaneve (Ginnifer Goodwin) e del Principe Azzurro (Josh Dallas), e madre di Henry (Jared S. Gilmore), un ragazzino sveglio e promettente che aiuterà gli abitanti della dormiente città di Storybrooke, bloccata alle 8:15 di un passato da ritrovare, a riscoprire le loro vere identità. Trasportati in un viaggio irreale, tra le fronde della foresta incantata, gli oscuri ed insidiosi sentieri di un’Isola che non c’è decisamente dark, e tutti i luoghi fiabeschi che ci sono familiari, ritroviamo, uno dopo l’altro, tutti i protagonisti delle più belle fiabe, nei panni di uomini e donne reali. Entità astratte ridimensionate in corpi di carne ed ossa, alle prese con tutte le soddisfazioni e le delusioni che comporta l’essere umani.

La perfezione, la vita tutta canzonette e principi azzurri, lascia spazio a qualcosa di più concreto, familiare e reale. Ed ecco che i personaggi dei nostri sogni acquistano spessore – diventano imperfetti e, proporzionalmente, più interessanti.

Le principesse dai lunghi capelli biondi, con un sorriso indelebile e gli occhi sinceri, nelle quali milioni di bambine si sono immedesimate, si trasformano in eroine di tutti i giorni, alle prese anche con i sacrifici e le sconfitte che la vita comporta, nelle quali è facile riconoscersi una volta diventati adulti. Testimonianza della nostalgia di sogni e fiabe, di infanzia e leggerezza, Into the Woods e Once Upon A Time, si classificano come una sorta di favola per adulti, che sa di disillusione ed, allo stesso tempo, di speranza – sottendendo la nostra incapacità di smettere di credere che i sogni possano davvero realizzarsi, incatenati per sempre nella nostra condizione di eterni Peter Pan.

Tutti gli abiti (e le armature) dell’australiano biondo che fa impazzire il mondo

Fonte: NewsCinema

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Marzo 2015 – Anno II – N.03 – [Pagg. 14-18]
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Chris Hemsworth nasce a Melbourne, Australia l’11 Agosto del 1983 da un’insegnante d’inglese ed un consigliere dei servizi sociali. Ha due fratelli, entrambi attori: Luke e Liam Hemsworth.

Recitare non è stata la sua aspirazione da sempre: ai tempi del liceo avrebbe voluto diventare medico, calciatore professionista, avvocato e anche poliziotto. In questa confusione di ruoli e mansioni, ignorava che esisteva una professione che gli avrebbe permesso di entrare ed uscire da ognuna di queste vesti. La scelta di intraprendere la carriera da attore nasce da un’ingenua curiosità: iniziò a seguire lo stesso corso di recitazione di suo fratello Liam e solo allora capì che quella era la sua strada.

Con una passione per il surf, da australiano doc quale è, ed una insolita per la lettura di libri antichi, inizia la sua carriera sul piccolo schermo. Nel 2004 entra nel cast della soap opera Home and Away (1988), nei panni del Personal Trainer, Guardia del Corpo Kim Hyde; nel 2007 partecipa alla versione australiana di Ballando con le Stelle, con la partner Abbey Ross.

La sua prima apparizione hollywoodiana è in Star Trek (J.J. Abrams, 2009), nei panni del comandante George Samuel Kirk, ma il ruolo che lo renderà celebre sarà quello dell’iconico Dio del Tuono, Thor. Nel 2009 l’attore ottiene la parte per l’interpretazione dell’epico eroe dell’Universo Cinematografico Marvel, e nel 2011 ha luogo il suo primo stand-alone nell’omonimo cinecomic, Thor (Kenneth Branagh, 2011).

Sguardo fiero da divinità e muscoli d’acciaio, è innegabile che Chris Hemsworth abbia il perfetto physique du rôle per interpretare Thor – personaggio basato sull’omonima figura del Dio del lampo e del tuono della mitologia scandinava.
Thor ha rappresentato per Chris, il suo debutto da protagonista e, sicuramente, una grande responsabilità:

“Ho provato un misto di emozione e sconforto. Stavo per calarmi nei panni di un personaggio che i fan del fumetto conoscevano meglio di me. Sapevo che dovevo dare il massimo per loro”.

L’attore presta corpo e anima al Vendicatore biondo anche per uno dei film più visti di sempre, The Avengers (Joss Whedon, 2012), e per il secondo episodio della sua saga personale, Thor: The Dark World (Alan Taylor, 2013).
Vedremo ancora l’attore nei panni dell’asgardiano figlio di Odino, che brandisce il mitico martello Mjölnir, che solo lui è in grado di sollevare, nel secondo capitolo del corale cinecomic dedicato ai VendicatoriAvengers: Age of Ultron (Joss Whedon, 2015) ed in un terzo capitolo del suo personale universo cinematografico.
Avengers: Age of Ultron vedrà la squadra riunirsi per combattere Ultron, un nuovo e terrificante cattivo che minaccia la razza umana: scomode alleanze e nuovi arrivati metteranno a dura prova l’impresa degli Avengers, che vedremo alle prese con una adrenalinica avventura su scala globale. Chris, parla del film in questi termini:

“Venendo da Thor 2 e The Avengers non vedevo l’ora di leggere il copione! Mi è piaciuto molto, la storia è stata ampliata ma in modo intelligente. Si è riuscito a portare indietro tutti gli Avengers e a dar loro un motivo pertinente per essere lì e per giustificare il conflitto. Non ci sono forzature. Voglio dire, si tratta di un equilibrio difficile da trovare”.

Inoltre, ci svela qualche curiosità sul suo personaggio: stavolta, non assisteremo all’educato ed ironico Dio naïf, dal linguaggio colto ed il portamento regale poiché, vivendo ormai sulla Terra, lo vedremo anche piuttosto a suo agio nel partecipare a party metropolitani, in jeans e t-shirt. Tra un passato epico ed un presente casual, attendiamo con ansia l’uscita del film – prevista per questa primavera – per trovare una nuova etichetta per il futuro del Vendicatore biondo.

Ma il bell’attore – proclamato l’uomo più sexy al mondo, dalla rivista statunitense People nel 2014 – annovera tra le sue interpretazioni, altri personaggi riuscitissimi, seppur distanti dallo spirito del potente guerriero senza poteri spedito sulla Terra per punizione.
Dai fumetti alle fiabe, Chris interpreta il Cacciatore, in Snow White and the Huntsman (Rupert Sanders, 2012). Protagonista indiscusso – a tratti più della stessa Biancaneve – di questa rilettura in chiave dark della più classica delle favole, Chris è l’ebbro e disilluso Cacciatore che, con il dipanarsi della trama, lascia intravedere, tra le sfumature di disperazione che tormentano la sua anima, uno spirito fiero e ribelle. Un’anima integra la sua, che non si lascia ammaliare dalle carezze di un diavolo che, seppur con il volto angelico di Charlize Theron, subdolamente la reclama. Due lupi dispersi nella stessa favola, Ravenna e il Cacciatore, ma se la prima soccombe, pugnalata al cuore accanto allo Specchio che è stato per lei sintesi di compiacenza e condanna, l’altro si redime.
L’attore apprezza molto lo spessore di questo personaggio:

“Mi piace il suo conflitto interiore. Era una ferita aperta. Mi piace il suo percorso da quando lo incontriamo a quando riprende possesso della sua vita. […] Lui è il classico eroe occidentale, restio ma sotto sotto ha un cuore d’oro”.

Una fiaba moderna, senza nanetti che canticchiano lavorando in miniera e principi in calzamaglia azzurra, del resto “Non tutte le principesse vogliono il principe, altre preferiscono di gran lunga il Cacciatore”.
A questa pellicola seguirà un prequel, The Huntsman – la cui data di uscita in America è prevista per Aprile 2016, con Frank Darabont alla regia – in cui vedremo come il suo destino incontra quello della strega cattiva, molto tempo prima di fare la conoscenza della “più bella del Reame”, e giustificherà quali eventi hanno concorso al suo incontro con quest’ultima. Fin dal titolo è palesato che in questo gothic prequel d’ispirazione fiabesca e sfondo horror, l’attore sarà protagonista assoluto.

Un’altra svolta per la sua carriera arriva in sella ad una McLaren: Rush (Ron Howard), biopic sportivo che racconta la storica rivalità tra i due piloti di Formula 1, James Hunt “The Shunt” (Lo Schianto) e Niki Lauda. L’uno famoso per il numero di macchine disintegrate sui circuiti, e di donne sedotte, l’altro per la sua capacità di trovare anche il più impercettibile dei difetti nell’assetto di una vettura e per il drammatico incidente che lo ha lasciato per sempre sfigurato. Due facce della stessa medaglia, accomunate dalla medesima folle voglia di correre per vincere: respirare asfalto e adrenalina per potersi ergere sul gradino più alto del podio, ad ogni costo, anche della propria vita. La determinazione è un tratto caratteriale che fa parte anche di Chris, il quale si sente in qualche modo affine allo spirito libertino di James Hunt:

“Mi piace il suo approccio alla vita, cento per cento impegnato, niente a metà, fedele a se stesso. Onesto, anche se un po’ sopra le righe. Un tipo “prendere o lasciare”, così sono anch’io”.

Un uomo circondato dalla leggenda, un po’ insolente e presuntuoso, e profondamente triste: sempre alla ricerca di una felicità che, al di là di fuochi d’artificio e servizi fotografici, gli era impossibile raggiungere davvero. Chris Hemsworth e Daniel Brühl (interprete di Lauda), ridanno vita ai due eterni rivali, accomunati da una profonda invidia e stima reciproca. Il regista ha saputo cogliere appieno questo aspetto: per cui, al di sotto della patina di tensione che si creava tra loro, ogni volta che condividevano la stessa inquadratura, era possibile intravedere i contorni sfumati di una profonda amicizia.
Alla prémière di Toronto, alla fine della proiezione, il vero Lauda ha fatto un unico commento: “Vorrei che anche James fosse qui”.

Bello come un Dio, malinconico Cacciatore delle fiabe, irresistibile nell’inspirare adrenalina e pericolo tra i circuiti di Formula 1, Chris Hemsworth ha indossato diversi abiti – o armature – ed ognuno di questi sembrava essergli stato cucito su misura. Credibile e promettente, il giovane attore australiano è indubbiamente un astro nascente, se non una vera e propria star splendente più che mai nel firmamento hollywoodiano.

The Divergent Saga – Arriva al cinema il Secondo Capitolo

Fonte: NewsCinema

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Marzo 2015 – Anno II – N.03  [Pagg. 43-45]
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Insurgent (Robert Schwentke, 2015) è il secondo – e non ultimo – capitolo della saga che ha avuto inizio un anno fa con Divergent (Neil Burger, 2014). La serie è tratta dalla trilogia bestseller della scrittrice Veronica Roth – composta da: Divergent, Insurgent, Allegiant, Four. Quest’ultimo si configura come prequel della saga distopica della giovanissima scrittrice – racchiude, quindi, quattro storie antecedenti al primo libro: Il trasfazione, L’iniziato, Il figlio e Il traditore.

Avventurandosi tra i tortuosi sentieri del genere fantascienza, la Roth abbina ogni romanzo ad un lapidario sottotitolo, che si fa emblema della trama: se Divergent sottotitolava “Una scelta può cambiare il tuo destino”, Insurgent sembra preannunciare qualcosa di ancora più gravoso ed insidioso, attraverso la solenne affermazione “Una scelta può distruggerti”.

Divergent ci proiettava in un futuro non specificato, dove gli esseri umani si sono organizzati in fazioni, che ne determinano un preciso ruolo nella società – tutto questo ordine e rigore non è fine a sé stesso, serve piuttosto ad ingannare la naturale inclinazione umana alla guerra. Pertanto, ognuno di questi gruppi rifiuta la guerra a proprio modo: i Candidi trovano che l’ipocrisia sia la principale causa della guerra, pertanto tengono alta la bandiera dell’onestà e s’impegnano a far rispettare le leggi; i Pacifici – il cui nome è abbastanza esplicativo – rigettano l’aggressività, in favore del perdono, dell’autosufficienza e della condivisione, e sono attivi in quanto assistenti sociali, ottimi terapisti ed artisti; gli Eruditi sono i saggi, gli acculturati, si affidano alla conoscenza per combattere il demone dell’ignoranza, causa di tutti i mali – brillanti e sagaci, sono ottimi bibliotecari, medici od insegnanti. Gli Abneganti celebrano l’importanza dell’essere altruisti, pertanto disprezzano egoismo ed autocontemplazione – leader politici o volontari, la loro priorità è porsi a servizio del prossimo. Gli Intrepidi sono i coraggiosi, senza macchia e senza paura, che proteggono la popolazione e sorvegliano i confini della città – in costante movimento, costretti ad un duro processo di iniziazione psicofisico, finalizzato al definitivo inserimento nella fazione. Esiste anche un gruppo di reietti, mendicanti costretti a vivere al di fuori della società: gli Esclusi. In ultimo, ci sono i Divergenti: rari e pericolosi per lo status quo della società, sono esseri in possesso di tutte le qualità delle cinque le fazioni. La protagonista, Beatrice detta “Tris” Prior è una Divergente. E quello che potrebbe sembrare un dono, in realtà diviene la sua condanna, poiché Jeanine Matthews (interpretata da Kate Winslet), leader degli Eruditi – sostiene che tutto ciò che è diverso vada eliminato.

Trilogia che si aggiudica un posto nell’attuale filone di film distopici, per cui pellicole di questo genere, seppur non sempre brillino di originalità, hanno grande presa sul pubblico.
L’imprecisata collocazione temporale, presumibilmente in un futuro non troppo lontano dal nostro presente, in cui il divario tra le varie classi sociali si fa sempre più tangibile e pericolosa, rievoca film come Elysium (Neill Blomkamp, 2013) – in cui c’è una forte discrepanza tra i privilegiati che abitano una sorta di paradiso terrestre, dove le malattie sono solo un ricordo, e tutti gli altri che, invece, muoiono di fame ed epidemie – ed Upside Down (Juan Diego Solanas, 2012) in cui l’umanità è distinta in due grandi classi: i fortunati appartenenti al ricco e prospero “Mondo di Sopra” e quelli relegati al misero “Mondo di Sotto”. Il tema dell’omologazione e dell’eliminazione delle diversità e la suddivisione della società in fazioni ricorda molto di più la celebre trilogia, Hunger Games (Gary Ross, 2012), in cui il mondo è ridotto ad un posto arido frazionato in distretti di abitanti infelici, subordinati alla ricca Capitol City. Lo spirito rivoluzionario di Katniss Everdeen, protagonista della trilogia, assomiglia molto a quello di Tris, poichè anch’ella diventa il grido di speranza della sua gente – la speranza di poter cambiare il loro destino. Anche The Giver (Phillip Noyce, 2014) ci mostra un mondo in bianco e nero – letteralmente – in cui la vita familiare e professionale è imposta dalla società stessa e non esiste libero arbitrio. Lo scenario post-apocalittico, ostile per chi è sopravvissuto, richiama altri due attuali film di fantascienza – in entrambi i casi, però, la minaccia è costituita da esseri mostruosi, alieni: After Earth (M. Night Shyamalan, 2013) e in Edge of Tomorrow (Doug Liman, 2014). Più velatamente, lo stesso concetto emerge anche in The Host (Andrew Niccol, 2013), in cui gli alieni hanno sembianze umane e la diversità si fa sinonimo di emarginazione.

Una scelta può cambiare il futuro dell’umanità, o distruggerlo: il primo capitolo ha cambiato la vita di Tris, anzi, più esattamente l’ha stravolta. La Divergente – status che le è costato più di quanto non fosse pronta a sacrificare – ha dovuto pagare lo scotto della perdita dei genitori ed è stata costretta a compiere azioni deplorevoli. Questo secondo capitolo, vedrà Tris e l’amato Quattro (Theo James) in fuga dalla perfida Jeanine, alle prese con un passato difficile da accettare e nuove sfide da compiere per salvare il loro mondo.
Il film è in uscita nelle sale italiane il 19 marzo 2015.

Cenerentola, una fiaba senza tempo – tra Letteratura e Cinema

Fonte: NewsCinema

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Marzo 2015 – Anno II – N.03 – [Pagg. 8-11]
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L’idea di reintrodurre una fiaba senza tempo come Cenerentola in un immaginario moderno, balenava da tempo nelle menti dei produttori dei Walt Disney Studios.

Era importante riuscire a dare spessore ed umanità ai personaggi della fiaba, preservandone, però, le singolarità che li rendevano caratteristici nel classico d’animazione: in questo modo gli si dà credibilità e tridimensionalità, mantenendone la riconoscibilità.

Portare un’eroina fiabesca come Cenerentola in un mondo dominato da eroi maschili, come quello cinematografico, ha costituito una vera e propria sfida.
Il regista Kenneth Branagh, che ha diretto brillantemente Thor, è uno dei cineasti contemporanei più rispettati: candidato agli Oscar in cinque differenti categorie (Miglior attore, Miglior attore non protagonista, Miglior regia, Miglior sceneggiatura e Miglior cortometraggio). Branagh, ammette di non aver mai pensato di dirigere una fiaba, ma viene rapito dalla sceneggiatura di Chris Weitz (About a Boy): “È il classico racconto in cui il personaggio principale parte per un viaggio con il quale gli spettatori riescono realmente ad identificarsi, e in qualità di regista è stato davvero meraviglioso giocare con la struttura e l’ambientazione di questa grande storia”.

Cenerentola, il classico Disney, uscì per la prima volta nelle sale il 15 febbraio 1950 e rappresentò per gli studi una vera e propria svolta: inizialmente, il sostanzioso budget produttivo di partenza rendeva questo film d’animazione un grande rischio finanziario per quel periodo, ma all’uscita nelle sale incassò più di 34 milioni di dollari – fu un vero successo!
Negli anni, la storia della gentile eroina bistrattata, destinata a diventare una principessa, ed anche più di questo: un vero e proprio simbolo immortale, nell’immaginario collettivo di ogni epoca– è stata più volte adattata in letteratura, al cinema, in televisione, a teatro e nell’arte. Tuttavia, le sue origini risalgono al I secolo d.C. Con la fiaba egiziana Rodopi. Successivamente, in Francia nel 1697, Charles Perrault pubblicò Cendrillon o La storia della scarpetta di cristallo, in cui già apparivano alcuni personaggi-simbolo, tra cui la fata madrina, la zucca che diviene una splendida carrozza e la scarpetta di cristallo. Un’ulteriore versione fu quella tedesca dei fratelli Grimm del 1812, Aschenputtel – realizzata secondo una chiave di lettura più dark.

Cenerentola è la storia di Ella (Lily James), crudelmente soprannominata con lo pseudonimo che dà il titolo alla sua storia dalla sua matrigna e dalle sue figlie invidiose. Amata figlia di un mercante e di una madre che muore troppo presto, vedrà crollare il suo idillio familiare ed ergersi, al suo posto, un insormontabile tempio di malvagità e gelosia – a partire dal momento in cui la nuova moglie di suo padre e le sue figlie, Anastasia (Holliday Grainger) e Genoveffa (Sophie McShera) si trasferiranno in casa sua.
Nel film, queste creature “grette e meschine” – come le definisce la produttrice Allison Shearmur – sono maggiormente esplorati come personaggi, seppur non molto diversi dalla loro matrice cartooniana. La produttrice le descrive in questi termini: “Entrambi i personaggi possiedono una bruttezza interiore. Sono carine, ma si spingono fin troppo oltre con le acconciature, il trucco ed il vestiario, risultando pacchiane. Il loro aspetto riflette il loro egoismo e la mancanza di considerazione nei confronti del prossimo.. questa è la loro bruttezza interiore”.

Cenerentola è una storia semplice, seppure tratta temi profondi: Cate Blanchett (nel ruolo della matrigna) lo sottolinea: “Ci sono tante store che fanno credere ai bambini di essere eroi capaci di superare ogni difficoltà, che il mondo è un posto perfetto. Ma le storie classiche, come Cenerentola, ci ricordano che il mondo può essere un posto crudele, in cui servono tanto coraggio e tenacia per sopravvivere”.
È emblematico in questo senso, che il regista di questo nuovo adattamento al grande schermo della fiaba che ha commosso milioni di persone, provenga proprio dal mondo dei supereroi, dove tutto sembra possibile. Branagh ripone il martello di Thor in un angolo ed inizia ad intessere le fila di questa storia straordinaria, in cui la protagonista riuscirà a realizzare i suoi sogni – desideri di felicità – attraverso il “super-potere” della gentilezza e della compassione.

“Dove c’è gentilezza, c’è bontà e dove c’è bontà, c’è magia”.

Queste parole, proferite dalla madre di Ella, diventano il leit motiv che guiderà per sempre le scelte della ragazza – ed è proprio questo che la rende vincente rispetto alla matrigna. Il produttore David Barron, lo spiega: “In un certo senso, il viaggio di Cenerentola è speculare a quello della matrigna, poiché entrambe hanno sofferto, ma le loro scelte le differenziano. Ella potrebbe essere arrabbiata e amareggiata come la sua matrigna, e ne avrebbe tutte le ragioni, ma sceglie di essere buona e questo fa infuriare la matrigna ancora di più”.
La ricetta per il successo di questa storia immortale è la sua profonda connessione con gli esseri umani. Cenerentola è un manifesto di speranza, un grido di ottimismo – Allison Shearmur, la produttrice, sostiene che è proprio la forza interiore di Ella, “questa certezza, che le permette di sopportare ogni cosa […] Sopporta perchè è assolutamente certa che quello in cui crede si avvererà. E nonostante sia messa alla prova, e spesso perda la speranza, non si separa dalle sue convinzioni e così è in grado di cambiare non soltanto la sua vita, ma anche quella di chi le sta intorno”.
“Sei molto più gentile tu, così piccola, di quanto lo sia la maggior parte della gente al mondo. Dà un grande potere, più di quanto immagini” – la madre di Ella è l’invisibile custode della morale ultima del film. Seppure nel cartone animato non era prevista alcuna scena che ci mostrasse il passato familiare di Cenerentola, gli autori del film hanno voluto includere alcune scene della vita pittoresca di Ella bambina, insieme ai suoi genitori. Questo, per mostrare che alla tragica perdita della madre subita da Ella, corrisponde un guadagno: i preziosi insegnamenti che la ragazza ha ereditato, quali gli importanti valori del coraggio e della gentilezza. Per queste sue caratteristiche fondamentali, la giovane donna dall’animo indistruttibile di Branagh, aveva bisogno di avere un’interprete come Lily James – la Shearmur descrive l’attrice con queste parole: “Lily James è Cenerentola. È gentile. È interessata alla persona più silenziosa della stanza e ha un grande interesse per ogni tipo di individuo. Ha un gran cuore. È una brava persona ed è straordinariamente bella, ma non è un cartone animato”.

Lily James è l’attrice designata ad incarnare la principessa – il regista la definisce perfetta per il ruolo, poiché non era facile trovare qualcuno che emanasse innocenza ed allo stesso tempo fosse “arguta e intelligente, tagliente ma non crudele, che possedesse una scintilla negli occhi e una bellezza sia interiore sia esteriore”. L’attrice si è preparata a questo ruolo facendo molte ricerche sulla spiritualità e praticando yoga ogni giorno per ottenere postura e grazia necessarie al personaggio. Tuttavia, Lily non voleva dar vita ad una principessa di plastica: “Volevo rendere Ella più realistica che mai, ma non volevo che apparisse senza difetti, poiché temevo che gli spettatori non si sarebbero immedesimati in un personaggio troppo perfetto”.
Ella s’innamora in modo credibile del Principe (Richard Madden) che, in questa versione cinematografica, guadagna spessore e fascino. Si voleva dare a Cenerentola un’anima gemella con cui poter entrare realmente in contatto a livello spirituale ed emotivo. Il regista spiega: “Volevamo che fosse un uomo ragionevole e sensibile, ma anche divertente. È un giovane pragmatico e realista in un mondo politico disordinato. Deve mostrarsi all’altezza dei sentimenti profondi e comprensivi di Cenerentola”. La sceneggiatura prevede che i due si incontrino, in un primo momento, nel bosco: gli status di entrambi rimangono celati, pertanto il fatto che lui sia un Principe e lei una contadina, non gli impedisce di riconoscersi non appena i loro sguardi si toccano.

Un altro personaggio che acquista consistenza è quello della matrigna: la trama ci suggerisce delle ragioni legittime ai suoi comportamenti deprecabili. Una donna dai sogni infranti ed il passato difficile, sofferente per quel terzo posto a cui è relegata nel cuore del padre di Ella, per il quale l’amore per la sua defunta moglie e per la sua bellissima figlia è impareggiabile.
Cate Blanchett interpreta questo triste personaggio con rispetto ed eleganza, senza renderlo caricaturale. Una donna dai ragionevoli obiettivi di successo e prosperità finanziaria, in cerca di una considerazione ed un amore che non avrà mai, e di un futuro felice per le sue figlie, che l’attrice spiega in questi termini: “Nessuno è semplicemente cattivo .. tutti hanno una motivazione. La matrigna mostra cosa succede quando la bontà viene corrotta: si trasforma in malvagità. Volevo esplorare motivi che spingono una persona a diventare malvagia”.

Ciò che più di tutto ci fa amare le favole, forse, è proprio il concetto universale ed integro di giustizia che vi vige – per il quale, alla fine, trionfa sempre la bontà.
Per questo, quando la Matrigna e le figlie impediscono alla povera Cenerentola di andare al ballo indetto dal Re, strappandole il vestito e condannandola alla sua condizione servile, ecco che una Fata Madrina accorre in suo soccorso.

Interpretata da Helena Bonham Carter, questo personaggio genuinamente eccentrico sembra essere creato su misura per l’attrice – “La mia Fata Madrina non è sempre la migliore in ogni cosa che fa, e a causa dei tempi stretti è stressata e sbadata. Ella è in ritardo per il ballo, la fata è incredibilmente anziana e non ci sta con la testa, e questo la rende molto simpatica”.

Anche questo ruolo viene espanso in fase di sceneggiatura: il personaggio si scopre essere in origine una mendicante che incontra Ella molto prima di trasformarsi nella sua Fata Madrina, e la gentilezza con cui viene trattata dalla ragazza la spingerà ad aiutarla a sua volta quando si trasformerà nella sbadata in modo benevolo creatura magica che cambierà il suo destino.

“Sua madre sarebbe stata felice, nel vedere Ella cavalcare con tanto splendore, con il suo coraggio e la sua gentilezza ancora intatti” – a destino compiuto, questa frase della Fata Madrina ci riporta al punto di partenza, chiudendo il cerchio.

Tutte le persone coinvolte nella realizzazione di questa nuova versione di Cenerentola hanno reso entusiasticamente omaggio all’indimenticabile film d’animazione Disney, dando forma ad un film umano e magico allo stesso tempo, che risveglierà la nostalgia e i ricordi di milioni di persone e toccherà i cuori di altrettanti, appartenenti alle nuove generazioni. I meravigliosi costumi e le favolose ambientazioni ci trasportano in un mondo fiabesco eppur credibile, pertanto alla sua uscita nelle sale, il 12 marzo 2015, al pubblico parrà di vedere questa storia per la prima volta.
Una storia che rimarrà immortale anche per tutte le generazioni a venire, e ricorderà per sempre che quando sono la bontà e la gentilezza a trionfare, esiste sempre un lieto fine.

Insurgent – La nuova era delle eroine

Titolo originale: The Divergent Series: Insurgent
Regia: Robert Schwentke
Produttore: Lucy Fisher, Pouya Shanbazian, Douglas Wick
Sceneggiatura: Brian Duffield, Akiva Goldsman
Soggetto: Veronica Roth
Fotografia: Florian Ballahaus
Scenografia: Alec Hammond
Cast: Shailene Woodley, Theo James, Ansel Elgort, Miles Teller, Naomi Watts, Maggie Q, Keiynan Lonsdale, Kate Winslet
Nazionalità: U.S.A.
Anno: 2015
Durata: 119′

A cura di Matilde De Nobili

Beatrice Prior, Katniss Everdeen, Annabeth Chase, Hermione Granger… chi non ha sentito nominare questi nomi almeno una volta? Ultimamente le sale cinematografiche sono state riempite da ragazze e ragazzi in trepidante attesa di vedere le loro super eroine; i ruoli femminili nei film degli ultimi anni sono drasticamente cambiati: dalle principesse indifese e in attesa del loro principe azzurro ad eroine coraggiose e intraprendenti pronte a prendere in mano le redini della situazione e a combattere per i loro ideali.                                           
Uno degli esempi più recenti è proprio quello di cui voglio parlare oggi: Beatrice Prior.
I
l film “Insurgent” di cui lei è protagonista-impersonata da Shailene Woodley – ha avuto un enorme successo nelle sale cinematografiche di moltissimi cinema, per dirla in gergo: ha sbancato il botteghino. Il successo registrato sembra essere addirittura superiore a quello del primo film “Divergent” che evidentemente ha fatto affezionare alla saga talmente tante persone da ottenere un enorme successo con il sequel!

La trama, ovviamente collegata a quella del primo successo della saga, è molto avvincente e coinvolgente: il film segue Tris (Beatrice) e la sua ricerca di alleati e risposte tra le rovine di una futuristica Chicago. La pellicola comincia con la fuga di Beatrice, Quattro, Peter e Caleb che si rifugiano presso il villaggio dei Pacifici, al confine con la recinzione che funge da protezione alla città, per scappare a Jeanine (Kate Winslet), la leader degli Eruditi, una fazione assetata di potere e convinta che la soluzione che gli permetterà di mantenere stabile il loro potere risieda in una scatola (custodita dalla famiglia di Tris e Caleb) che può essere aperta solo da un Divergente con la capacità di superare un test per ogni fazione. Questa motivazione è il filo conduttore di tutta la storia perché costringerà i protagonisti a fuggireTris e Quattro durante la loro corsa contro il tempo cercheranno di scoprire perché la famiglia di Tris ha sacrificato le proprie vite. Condizionata dalle scelte compiute, ma decisa a proteggere chi ama, Tris, con l’inseparabile Quattro al suo fianco, si trova a dover intraprendere prove difficilissime fino a scoprire molte verità celate nel suo passato e a supporre cosa avverrà nel loro futuro.

Oltre alla storia che, effettivamente, a seconda dei gusti, può convincere o meno, il messaggio del film in questione, o meglio, il messaggio che tutti i film con le eroine al femminile degli ultimi tempi cercano di trasmettere è estremamente incoraggiante e motivante – a mio parere; utile per tutte le ragazze e, perché no, i ragazzi che si gusteranno la visione del film e che dopo i titoli di coda cominceranno a sentirsi a loro volta capaci di affrontare ogni situazione con eroismo e coraggio.