Fonte: NewsCinema
A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Aprile 2015 – Anno II – N.04 – [Pagg. 31-35]
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Il 22 giugno 1949 viene al mondo Mary Louise, che dalla mamma eredita il tenero appellativo di Meryl ed una deliziosa voce da soprano, che affina prendendo lezioni di canto. Tuttavia, fin da giovanissima è attratta dalla recitazione – inizialmente per quanto riguarda il mondo del musical, finchè prende coscienza di un’innata propensione alla recitazione drammatica e vince il premio Bachelor of Arts alla Vassar College. La sua nomina di “attrice più premiata nel mondo della celluloide”, ha origine fin da allora.
Debutta sul grande schermo con Giulia (Fred Zinnemann, 1977) – un dramma femminile ambientato durante la seconda guerra mondiale – e, da quel giorno, inizia una brillante e multi-sfaccettata carriera che la condurranno al raggiungimento di numeri da record – ad oggi, un totale di 19 nomination agli Oscar, di cui 3 vittorie – e, tra gli altri riconoscimenti, 29 candidature ai Golden Globes, di cui 8 vittorie. Meryl è una star, un’icona del cinema moderno, la cui luce splendente nel firmamento hollywoodiano non accenna ad affievolirsi neanche oggi, all’età di sessantacinque anni. L’attrice conquista 3 statuette: nel 1980, per l’interpretazione di una madre che, al rapporto con suo figlio, sceglie la propria autoaffermazione in Kramer contro Kramer, e nel 1983 in La Scelta di Sophie, nel ruolo di una madre costretta a compiere una scelta difficile che le lascerà un segno indelebile nell’anima per tutto il resto della sua vita. La terza statuetta la vince con l’interpretazione di Margaret Thatcher, unica donna ad essere stata Primo Ministro britannico – una donna ambiziosa e determinata, dal temperamento di ferro: The Iron Lady.
Dalla sublime raffinatezza e manierismo interpretativo, la Streep ha saputo reinventarsi in una galleria di volti femminili – dalla complessità di eroine avvolte nel melodramma di scenari di guerra ed Olocausto, alle brillanti reginette dai picchi ironici, nei cui panni l’attrice – commediante nata – letteralmente scompare. La morte ti fa bella è un ottimo esempio di satira, kitsch ed irriverente, in cui Meryl Streep risplende e dona credibilità ad un personaggio estremamente grottesco, che insegue affannosamente l’illusione di un’eterna giovinezza, anche a costo di andare in pezzi – letteralmente. Film virulento, che critica ferocemente una società che celebra e si fonda unicamente sui principi di bellezza e giovinezza – da cui risultano tante indistinguibili macchiette senza un’identità, senza un’anima. Questo aspetto viene esasperato dal personaggio di Meryl Streep e dalla sua amica/nemica interpretata da Goldie Hawn, che finiscono per diventare due morti viventi – è doveroso citare la scena in cui la Streep appare con la faccia girata a 180° sul collo, o quella in cui la Hawn ha un enorme buco in mezzo allo stomaco e gli occhi di ghiaccio.
Tutt’altro che ironico è il tono di The Iron Lady – che si auto-configura come una riflessione, compiuta a ritroso, sulla vita di una donna che ha guidato con tenacia e fermezza un centinaio di menti, prima di essere costretta dalla demenza senile ed un principio di Alzheimer, a brancolare nel buio della propria mente, confondendo continuamente presente e passato in un vortice di emozioni senza né tempo nè orientamento.
“Per me è stato un privilegio essere Margaret – sostiene l’attrice – frugare dentro un personaggio così complesso e decisivo nella storia mondiale, ma i cui risvolti emotivi ed interiori mi sono sempre stati oscuri ed hanno suscitato, non solo in me, ma in tutti, molta curiosità”.
È una storia a suo modo universale, che può essere quella di tutti noi – amplificata dai tratti epici che hanno caratterizzato la vita di una vera leader – che, ad un certo punto, si trova ad un capolinea imposto dal tempo; e ci si ritrova a vagare tra i sentieri tortuosi della propria mente, senza più punti di riferimento od indicazioni.
Meryl Streep parla del personaggio in questi termini:
“Questo, però, non è stato facile da interpretare. È una sfida; ma quando arrivi alla mia età, ti sembra di avere ancora vent’anni, quindi non è stato un grande problema. Una parte di me si sente ancora la stessa persona di quando avevo 16 anni, o 26, o 56. Hai accesso a tutte le persone e a tutte le età che hai già vissuto. Credo sia questo il grande vantaggio, se ne esiste uno, di diventare vecchi”.
Il film è straordinariamente apolitico, nonostante parli della vita di una donna che è riuscita ad imporsi sullo scenario istituzionale britannico di un’epoca in cui la sua presenza non era che una chiazza rosa all’interno di un mondo monocromatico, fatto di uniformi scure e colletti bianchi, ben stirati da mogli che – a quel tempo – non erano nulla più che una sintesi di faccende domestiche, doveri genitoriali e coniugali e fornelli.
Johanna, la protagonista di Kramer contro Kramer, interpretata da Meryl, è esattamente quel genere di donna stanca di essere costretta e ridotta alla definizione di madre o moglie, tipica degli anni Ottanta, e decide di reagire alla sua profonda infelicità ed insoddisfazione lasciando la propria famiglia per andare alla ricerca di sé stessa – della realizzazione personale come donna. L’attrice, a suo modo, giustifica la scelta di questa donna che è emblema di un sistema sociale che sta cambiando:
“Quando facevamo il film, nessuno capiva una donna che voleva lasciare marito e figlio perché sentiva che la mente la stava abbandonando. Ora ne sappiamo di più di queste cose, e la capiamo – ma all’epoca nessuno la perdonava”.
Dai panni di donne che si fanno testimonianza e sigillo di una società che sta cambiando, agli abiti griffati di una contemporanea donna in carriera che ha piena coscienza della propria autorità, nel 2006, Meryl diventa Miranda Priestley – personaggio ricalcato sulla personalità di Anna Wintour, la spietata direttrice di Vogue America. In un tripudio di ironia velenosa, dialoghi brillanti, scarpe Manolo Blanik, foulard Hermès e completi Prada, l’attrice si distingue ancora una volta per un’interpretazione riuscitissima – anche quando si “traveste da cattiva”, la Streep riesce a conquistare il cuore del pubblico ed i favori della critica. Da un surrogato di Crudelia DeMon, l’attrice, nel recente Into the Woods, indossa la maschera sdentata, con i capelli arruffati e turchini di una perfida e perfetta strega da fiaba.
Non sarà la più bella del reame, ma senz’altro è la diva da Oscar per antonomasia della Hollywood di ieri, e di oggi. Ci ha emozionato in ruoli ad alto valore empatico, commosso attraverso gli occhi vuoti di realtà e pieni di ricordi di una donna di ferro, affascinato dietro gli occhiali spessi e costosi dell’intransigente Diavolo di un Inferno che ha i colori fluo delle riviste di moda e le luci delle passerelle, sorpresi e convinti nei panni di grottesche signore alla ricerca spasmodica di un fantomatico elisir di eterna giovinezza.
Una cosa è certa, Meryl Streep la formula per l’immortalità l’ha trovata, quantomeno nel cuore di chi ama il cinema e apprezzerà i suoi mille volti filmici senza tempo e senza data di scadenza. Lunga vita a Meryl!