Una Galassia di Risate

Titolo originale: Guardians of the Galaxy

Regia: James Gunn
Sceneggiatura: James Gunn, Nicole Perlman
Fotografia: Ben Davis
Montaggio: Fred Raskin, Hughes Winborne, Craig Wood
Scenografia: Charles Wood
Musiche:  Tyler Bates
Cast: Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista, Lee Pace, Karen Gillan, Benicio del Toro, Michael Rooker, Djimon Hounsou, John C. ReillU, Gleen Close, Peter Serafinovicz
Produzione: Kevin Feige
Paese di Produzione: U.S.A.
Anno: 2014
Durata: 121′

A cura di Alexia Altieri

 

Cinecomic dal tono ironico e dalle atmosfere irrorate di fantascienza vintage, Guardians of the Galaxy è la decima creazione del Marvel Cinematic Universe, diretto da un improbabile James Gunn. Dico improbabile, poiché Gunn, che viene da una lunga carriera nel cinema trash / horror, risulta credibile nella realizzazione di questa frizzante avventura in perfetto stile disneyano. Del resto è proprio la Walt Disney Studios Motion Pictures a distribuire il film, e a dargli un impronta quasi fiabesca, irreale. Manca totalmente il senso del tragico (eccetto il prologo in cui vediamo la morte della madre malata del protagonista), ogni momento ad alto carico tensivo viene smorzato: emblematica, in questo senso, è la scena in cui il villain Ronan L’Accusatore (Lee Pace) sembra che stia riuscendo nei suoi intenti distruttivi, quando Peter Quill (Chris Pratt) inizia un buffo balletto, per distrarlo, che smorza completamente i toni. Perciò, siamo di fronte ad un film con un happy ending alla Walt Disney, che ha come protagonisti, personaggi alla George Lucas (in particolare ricordano la saga di Star Wars) che fanno uso – e abuso – di un umorismo politicamente scorretto ed agiscono in un ambiente squisitamente extra-terrestre, ricordando a tratti anche la serie TV animata Futurama, creata da Matt Groening e David X. Cohen. Gunn ha creato un singolare universo, ricco di svariate specie aliene, di cui il personaggio di Rocket Raccoon (doppiato da Bradley Cooper) diventa perfetto emblema: anch’esso è frutto di un esperimento e, nonostante l’insolita apparenza di procione antropomorfo, si rivela scaltro e all’altezza di ogni situazione. Ergo, nonostante la trama di questo cinecomic possa risultare un po’ scontata e povera d’intreccio, funziona, è piacevole e tiene incollati allo schermo con il fiato sospeso – se non per la suspense, per la risata continua – fino alla fine.

I Guardiani della Galassia è la trasposizione cinematografica di una serie di fumetti piuttosto recente (del 2008), intitolata Guardians of The Galaxy di Dan Abnett ed Andy Lanning – meglio noti come DnA. Perciò si parla di personaggi sprovvisti di un’iconografi consolidata alle spalle (a differenza degli altri eroi Marvel): sono un gruppo di criminali disadattati, senza famiglia, senza dimora e senza passato (tranne Peter Quill, di cui il regista ci mostra una triste parentesi della sua infanzia), ognuno con le proprie specifiche, che imparano a combattere insieme per degli scopi comuni.

I due personaggi più carismatici e memorabili del film, che risaltano per comicità ed eroismo, sono Rocket ed il sensibile ed ingombrante albero antropomorfo Groot (doppiato da Vin Diesel).
Gamora (Zoë Saldaña) e Drax il Distruttore (David Bautista), invece, sono due personaggi più stereotipati, con una personalità meno approfondita, mossi soprattutto l’una dalla propria rivalità con Nebula (Karen Gillan) e l’altro dalla sete di vendetta verso chi gli ha strappato via per sempre la sua famiglia.
Peter Quill alias. StarLord, è il protagonista: inizialmente, Peter è un bambino fragile che piange al capezzale della madre, e scappa fuori dalla sua stanza d’ospedale, in lacrime, stringendo tra le dita il mangiacassette che suona sempre lo stesso Awesome mix di canzoni anni Settanta e Ottanta che gli aveva regalato sua madre poco prima di morire. Ventisei anni dopo, rapito ed allevato da Yondu (Michael Rooker), riappare con indosso una corazza fatta d’insolenza e presunzione che però, nasconde al suo interno lo stesso animo fragile e sensibile di quel lontano 1988.
Un miscuglio di personaggi eterogenei che, alla fine, verranno accumunati proprio dallo stesso grande bisogno di famiglia. Emblematica la scena in cui Groot, caratterizzato da un frasario limitato alla frase “Io sono Groot”, poco prima di compiere il suo sacrificio riesce a dire “Noi siamo Groot”.

Tra genere e parodia, tra dialoghi paradossali, gag e siparietti, la trama si dipana a ritmo di musica pop anni ‘70/’80. Ma la musica non è l’unico elemento retrò che esplicita i gusti di chi firma, ci sono vari spunti di quegli anni che appaiono nel film, più o meno chiaramente: dalla citazione di Footloose (Herbert Ross, 1984) e Kevin Bacon, all’astronave di Peter soprannominata Milano, tributo ad Alyssa Milano, protagonista di Who’s the Boss? (Casalingo Superpiù – serie TV 1984-1992).

6-Guardiani-della-Galassia-recensione-awesome-mix

Di seguito vorrei proporre qualche curiosità, riservata agli appassionati dell’Universo Marvel.
Partiamo dalla scena post-credits, in cui appare Taneleer Tivan alias Il Collezionista (Benicio del Toro) nel suo museo ormai distrutto, assieme a Cosmo, il cane russo astronauta che nel fumetto è un membro del gruppo dei Guardiani, dotato di un portentoso potere telepatico, ed Howard The Duck, altro personaggio presente nei fumetti, qui inserito a puro scopo comico. L’aspetto fondamentale di questa scena pare essere un altro. Già nella scena post-credits di Thor – The Dark World (Alan Taylor, 2013), nel museo del Collezionista appariva un bozzolo, che Gunn ha svelato contenere Adam Warlock.

BOZZOLO
Per chi non lo sapesse, Adam Warlock, meglio noto come “Lui”, è un essere potentissimo creato in laboratorio per essere geneticamente perfetto, ed è il portatore della Gemma dell’Anima (una delle 6 gemme).
Nella nostra scena dopo i titoli di coda, alle spalle di Howard appare il bozzolo aperto.

PAPERO
Vorrei, inoltre, proporvi un’ipotesi: e se il padre di Quill, che sua madre ha descritto come qualcuno “dalla faccia d’angelo”, molto potente, fosse proprio Adam Warlock? Non dimentichiamo che Peter Quill ha un DNA per il 50% umano, e per il restante sconosciuto, perciò questa rimane un’ipotesi plausibile.

Un’altra curiosità. Nelle teche del Collezionista, nel bel mezzo del film, appaiono, oltre al cane Cosmo, uno dei chitauri (gli alieni invasori The Avengers) ed un elfo oscuro (uno dei nemici presenti in Thor: The Dark World).
Ma non è l’unico curioso collegamento al mondo dei nostri amati Vendicatori presente in questo film, che pullula di citazioni e rimandi: sarà strano notare che la madre di Peter Quill era apparsa, a suo tempo, in Captain America: The First Avenger, intenta a chiedere un autografo a Steve Rogers.

MADRE

Insomma, con un già annunciato sequel dei Guardiani della Galassia, previsto per il 2017, e tutti i progetti in moto nei Marvel Studios, ne vedremo delle belle!

Sovraumanità racchiusa in un’USB

Titolo originale: Lucy

Regia: Luc Besson
Sceneggiatura: Luc Besson
Fotografia: Thierry Arbogast
Scenografia: Hougues Tissandier
Costumi: Oliver Bériot
Musiche: Eric Serra
Cast: Scarlett Johansson, Morgan Freeman, Min-sik Choi, Amr Waked, Pilou Asbaek, Analeigh Tipton, Alessandro Giallocosta, Nicolas Phongpheth
Produzione: Luc Besson, Christophe Lambert
Paese di Produzione: Francia
Anno: 2014
Durata: 89′

A cura di Alexia Altieri

 

Tutto ha inizio a Tapei, capitale di Taiwan, dove una studentessa non troppo intelligente di nome Lucy (Scarlett Johansson) viene suo malgrado sequestrata da un gruppo di malavitosi, capeggiati dal criminale coreano, Mr. Jang (Min-Sik Choi). Questi le nascondono nell’addome una sacca contenente una nuova droga sintetica, in modo da poterla espatriare in altri paesi.
Ci appare chiara fin da subito, la definizione di corpo umano che Luc Besson intende darci: esso funge da involucro, non è nulla più di un semplice contenitore. E ciò che accoglie è ben lontano dalla comune accezione di stupefacente, poiché si tratta di un ormone sintetico che viene prodotto dalle donne in gravidanza, durante la sesta settimana, ed è finalizzato alla formazione dell’apparato osseo del feto. La cocaina è fuori moda nel caleidoscopico mondo costruito da Besson.
Ancora una volta, il cinema di Besson splende della luce di impavide eroine: tra cui è doveroso ricordare la ribelle protagonista dell’omonimo film Nikita (1990) e la protagonista del film biografico The Lady: L’amore per la libertà (2011).
Lucy si trasforma in supereroina in modo del tutto accidentale, poiché a seguito del duro pestaggio a cui la sottopone uno dei gangester, la sacca inserita chirurgicamente nel suo corpo si lacera e la sostanza le entra in circolo. Inizialmente spaesata e spaventata, acquisterà progressivamente più potere e maestria, tanto da divenire dapprima sovraumana, e poi sfociare nell’astrattezza di un’intelligenza che si trasfigura sempre di più verso l’artificiale, l’incontenibile. Questa accezione dell’eroe che si ritrova catapultato di soppiatto in un ruolo che, inizialmente, sembra non riuscire a ricoprire, è classica della filmografia Marvel. Basti pensare ad eroi come Spiderman, o Captain America per coglierne il sottile collegamento.

1


Con questo film, che intreccia scienza, fantascienza, tecnologia, thriller ed action, Besson crea un enorme puzzle a tratti allucinatorio e difficile da seguire ed interpretare, da cui bisogna lasciarsi sopraffare, senza ragionarci troppo. Esagerato e grottesco in alcune scene, tra cui il concitato inseguimento in auto nelle vie parigine, quanto squisitamente documentaristico in altre. Si può cogliere, in controluce, qualche spunto taoista, in particolare nelle scene in cui il regista ci mostra gli albori del mondo: una realtà primordiale, fatta di selva, animali e ominidi (location che richiama, in qualche modo, 2001: Odissea nello spazio di Kubrick), tra cui uno particolarmente intelligente rispetto ai suoi simili, in seguito rinominato proprio Lucy, al quale viene affibbiata dalla Scienza l’etichetta di progenitrice della stirpe umana.
Il regista gioca spesso con il montaggio, ricorrendo ad un montaggio parallelo (alla Griffith) per mostrare, simmetricamente, l’assalto di un leopardo ad una gazzella, e il sequestro di Lucy da parte del trafficante di droga. Da citare anche il ricorso al montaggio alternato, invece, a sottolineare la contemporaneità tra la lezione del docente di biologia dell’Università di San Francisco (Morgan Freeman) e la propagazione del Cph4 nel corpo di Lucy.
Freeman, ancora una volta nei panni di comprimario, è il docente universitario sopracitato: scelta non casuale poiché l’attore sembra essere realmente un appassionato cultore delle neuroscienze.


Besson parte dall’intrigante ed arcano concetto che l’essere umano sfrutta solo il 10% delle proprie potenzialità cerebrali, e pone l’interrogativo su ciò che potrebbe accadere qualora riuscisse ad usarle al 100%. Questo l’escamotage di partenza, per alcuni banale, senz’altro impalpabile ed irraggiungibile, a cui il regista si propone di darci una sua interpretazione. Man mano che Lucy acquista maggior controllo del proprio cervello, in un’escalation che la porterà a raggiungere l’agognato 100%, diventando sempre più ubiqua ed onnipotente, acquisterà facoltà straordinarie, fino a raggiungere un apice che Besson semplifica in una completa smaterializzazione. Il corpo, come in Transcendence (Wally Pfister, 2014), è considerato ancora una volta un mero involucro che non ha altra funzione se non quella di contenere un’intelligenza che quando cresce eccessivamente ha bisogno di distaccarsene, di sconfinare. Anche in Lucy, il tetto massimo dell’intelligenza umana è rappresentato dalla sua metamorfosi in “intelligenza artificiale”. Lucy, come il Dr. Will Caster, sacrifica la propria umanità per tramutarsi in qualcosa di astratto, più simile ad un processore tecnologico senz’anima. L’ultimo scorcio di umanità, in un film di pura adrenalina, rimane cristallizzato in quella chiamata alla madre, che Lucy fa a circa metà film quando, convinta di morire, le ricorda quanto le vuole bene. È forse quello l’unico, ed il più toccante, momento di tutto il film, in cui il regista ci restituisce qualcosa di, a suo modo, più tangibile, come l’amore per la mamma che tutti noi conosciamo bene e forse, proprio per questo, ci commuove.


Questo film è ricco di spunti cinematografici, tra cui – a parte quelli sopracitati – senz’altro Limitless (Neil Burger, 2001) in cui Bradley Cooper, nei panni di uno scrittore incapace, riesce a potenziare le capacità della propria mente assumendo un farmaco sperimentale. Più sottile, forse, la citazione di E.T. l’extraterrestre (Steven Spielberg, 1982), nella scena in cui Lucy, ormai all’apice delle proprie capacità intellettive, compie un improbabile viaggio nel tempo, fino all’epoca primordiale di Lucy, la scimmia antropomorfa e, ritrovandosi l’una di fronte all’altra, accostano reciprocamente i loro indici.
Questo è, in pillole, il composito puzzle a cui Besson dà forma e vita, accostando un’action esasperata, talvolta a scapito della stessa coerenza narrativa (come nel suo Cose Nostre – Malavita, 2013), a spunti di riflessione che oscillano tra lo scientifico e lo sci-fi.
Infine, nulla più se non l’avvilente consapevolezza che la massima amplificazione della potenzialità cerebrale sia riducibile al contenuto di una chiavetta USB.