Speciale Colin Farrell – “La mia vita è da manicomio”

men_actors_colin_farrell_faces_1680x1050_19905

Colin Farrell

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Novembre/ Dicembre 2015 – Anno II – N.10 – [Pagg. 49-54] (download qui)


Colin Farrell
è indubbiamente uno dei bad boy più sexy del cinema, con un fascino innato e tormentato, e una predilezione per il ruolo del cattivo.

Colin James Farrell nasce a Castleknock – un quartiere di Dublino, il 31 maggio del 1976. Dapprima sogna di diventare un calciatore come il papà Eamon, poi la mamma Rita Monaghan lo iscrive a un corso di danza, ma il piccolo Colin sente di non aver ancora trovato la sua strada. Da adolescente tenta la strada della musica: partecipa a un provino per entrare a far parte della boyband dell’epoca – i Boyzone – ma non ha fortuna. Passa un periodo in Australia dove provvede al proprio sostentamento lavorando come cameriere, finché finalmente decide di tornare in Irlanda e iscriversi alla Gaiety School of Acting a Dublino. È chiaro fin da subito che è quello il suo destino: nel 1996 entra nel cast di una serie televisiva, comedy drama irlandese, firmata BBC, dal titolo impronunciabile – Ballykissangel.

Ballykissangel sarà un’importante vetrina per Colin, un’emblematica audizione per il mondo del cinema – sarà Tim Roth a notarlo e a trascinarlo sotto le luci patinate dei riflettori con The War Zone (Zona di guerra, 1999), esordio alla regia del talentuoso attore.
Tuttavia, sarà Joel Schumacher a stendere il red carpet ai piedi del giovane irlandese e a sancire il suo ingresso a Hollywood con Tigerland, 2000. Colin è Roland Bozz, un cinico militare ribelle – un eroe per i suoi compagni e un piantagrane per i suoi superiori. Tigerland ci racconta attraverso questo affascinante personaggio la dura preparazione militare dei soldati americani in partenza per il Vietnam – in particolare, Tigerland è il nome dell’ultimo, infernale campo di addestramento, che ripropone fedelmente le dinamiche della guerra. Se Bozz è il focus della vicenda, intorno a lui rimangono ai margini della storia gli altri personaggi, i quali vengono definiti per cliché – il patriottico, il goffo, il dispotico, il fanatico, …
Schumacher richiamerà l’attore per fare da protagonista a In linea con l’assassino (Phone Booth, 2002): una pellicola che si sviluppa all’interno di una vecchia cabina telefonica e riesce a tenere alto il livello della tensione nonostante l’azione si sviluppi unicamente alla cornetta. Colin è Stu Shepard, un borioso consulente per i media – la pellicola si apre sulla sua baldanzosa marcia per le vie di Manhattan, prosegue con una telefonata non rintracciabile alla sua amante e si evolve in una minaccia di morte da parte di una voce che lo ricatta, ingabbiandolo nella cabina con la promessa di tenerlo a tiro con un fucile di precisione.

colin-farrell-in-miami-vice

Colin Farrell in Miami Vice

L’action thriller è il genere prediletto da Colin, il quale ha ceduto spesso al fascino della divisa: “Spesso, su un set, mi ritrovo con una pistola in mano: e dire che a me le armi non piacciono per nulla”.

A questo proposito, nel palmares dell’attore si sono susseguite pellicole del calibro di Sotto corte marziale (Gregory Hoblit, 2002) – per cui ha collaborato con Bruce Willis, Minority Report (Steven Spielberg, 2002) – al fianco di Tom Cruise, Daredevil (Mark Steven Johnson, 2003) – insieme a Ben Affleck.
Alle pellicole indipendenti si alternano blockbuster come Miami Vice (Michael Mann, 2006) e S.W.A.T. – Squadra speciale anticrimine (Clark Johnson, 2003) – in relazione a quest’ultimo, Colin ha affermato: “È stato divertente recitare in questo film. Da ragazzino ho visto una valanga di film d’azione americani. Una volta tanto è stato divertente fare un’americanata”.
Per quanto riguarda la trasposizione cinematografica di Miami Vice è da citare un simpatico aneddoto: durante le riprese, per evitare l’assalto dei paparazzi, l’assistente di produzione ha fatto indossare a tutta la troupe una maglietta con la scritta Leave Colin alone – inutile dire che la bizzarra T-shirt si è presto trasformata in una vera e propria linea d’abbigliamento.
Tuttavia, nonostante la crescente fama internazionale e la sua partecipazione a queste “americanate”, come lui stesso le ha definite, una cosa è certa: Colin non ha mai venduto l’anima a Hollywood.

Nel 2003 Farrell viene nominato uno dei cinquanta uomini più sexy del mondo dalla rivista People e, nello stesso anno, prende parte al cast di La regola del sospetto di Roger Donaldson in cui collabora con Al Pacino – un vero idolo per Farrell, insieme altri nomi altisonanti: Steve McQueen, Paul Newman, Clint Eastwood, James Caan e Marlon Brando.
Nel film, Al Pacino rispecchia questo ruolo di mentore nei confronti del giovane – che veste i panni filmici dell’apprendista. E li veste alla perfezione, poiché Al lo ha definito “il miglior attore della sua generazione”.

aj5pm

In Bruges – La coscienza dell’assassino

È passato dal fronte militare, al distintivo, per poi approdare ai ruoli da assassino.
In un’intervista è stato chiesto a Colin cosa ci fosse di attraente in ruoli di questo tipo, e lui ha risposto: “Il fatto che questi personaggi si muovono in un contesto ben definito, in cui è chiaro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ma ai margini di questo sistema, come Pride and glory dimostra, ci sono zone d’ombra. Per questo il mio personaggio è difficile da giudicare, anche se come attore gli ho dovuto trovare una giustificazione. Ma nella vita non farei mai il poliziotto.

In particolare, Pride and Glory – Il prezzo dell’onore (Gavin O’Connor, 2008) segna questo passaggio dall’ordine, all’ordine apparente e corrotto del sistema newyorkese, all’altra faccia della medaglia – la criminalità, in cui dominano perversi giochi di potere e spietati assassini.
In Bruges – La coscienza dell’assassino (Martin McDonagh, 2008) rappresenta uno dei punti più alti della carriera di Colin, al quale il ruolo del killer malinconico calza a pennello e gli procura anche un Golden Globe. In Bruges ci racconta la storia di una cittadina medievale irlandese, “personaggio fondamentale che cambia nel corso della storia. All’inizio sembra decisamente benigna, ma poi diventa sinistra quando Harry conferma le preoccupazioni di Ray” – come sostiene lo scenografo M. Carlin. Bruges è un bellissimo museo a cielo aperto eppure Ray (alias di Colin), killer di professione, la disprezza. McDonagh dona abilmente vita ad un complesso giro di vite, in cui la tensione resta alta nonostante l’azione scarseggi, e Colin permea l’intera vicenda con l’affascinante evoluzione introspettiva del proprio personaggio.
Se In Bruges è stato un successo, Alexander – la controversa pellicola con cui Oliver Stone si propone di raccontare la propria versione sulla vita di Alessandro Magno – non ha evitato a Colin la nomination ai Razzie Awards come peggiore attore dell’anno.
Il ritratto pansessuale che Stone ha fatto del condottiero macedone ha lasciato allibiti critica e pubblico – anche la Warner Bros. ha intimato il regista di rivedere alcune scene omosessuali troppo esplicite tra Colin Farrell e Francisco Bosch. Colin definisce questo film “doloroso” e spiega: “mi ha fatto male: non è stato accolto bene, e nemmeno la mia interpretazione è piaciuta. E visto che un attore non fa un film per sé stesso ma per il pubblico, è stata dura da digerire l’idea di aver deluso tanta gente; di aver tradito la figura di Alessandro Magno, la bellezza della sua storia. Mi ci è voluto tempo per superare questo trauma: solo negli ultimi due anni sono riuscito a capire che le battute d’arresto possono capitare e sono riuscito a farmi tornare quella curiosità, quell’entusiasmo che provai a 16 anni quando io, che volevo fare il calciatore, mi ritrovai un po’ per caso a fare l’attore”.

kinopoisk.ru

Colin in Alexander

Colin, come Alessandro Magno, è un grande sognatore: “Fin da bambino guardavo fuori dalla finestra semplicemente chiedendomi cosa sarei diventato. I greci lo chiamano pathos, intendendo desiderio, aspirazione. Io amo sognare ma ancora più amo sognare a occhi aperti perchè quando dormi non hai scelta mentre se sogni ad occhi aperti puoi decidere cosa sognare”.
Le due pellicole che più mettono in risalto questa sua parte sono indubbiamente Saving Mr Banks (John Lee Hancock, 2013) e Storia d’inverno (Akiva Goldsman, 2014). Il primo racconta il fiabesco (e tortuoso) passaggio della fiaba di Mary Poppins dalle pagine di un libro al grande schermo per volere di Walt Disney in persona. Colin interpreta il Mr. Banks del titolo, l’uomo ferito, un padre sensibile e fragile che dev’essere salvato – un’interpretazione commovente ed equilibrata “nel suo implacabile e continuo cambiamento di segno”. In Storia d’inverno, invece, è un eroe romantico – un ladruncolo gentiluomo d’altri tempi che s’innamora di una ragazza nobile e in fin di vita. La storia, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo fantasy di Mark Helprin, parla essenzialmente di miracoli e Amore – quell’amore che ha il potere di resistere al tempo e alla magia demoniaca di un perfetto Pearly Soames (Russell Crowe). Colin è un romanticone: “L’amore ha la forza di attraversare i confini del tempo e sopravvivere anche davanti alla morte, come nel caso dell’amore di Peter nei confronti di Beverly. Mi considero un romantico […] è difficile, ma credo sia possibile questo tipo di sentimento totalizzante e mi commuovo sempre quando incontro coppie che si amano da cinquant’anni. Non so se riuscirò”.

storia-d-inverno

Storia d’inverno

È vero, Colin ha condotto una vita macchiata da vizi malsani e dagli eccessi – una vita che lui stesso definisce un “manicomio”. Tuttavia, l’attore ha più d’una volta dimostrato di avere un animo sensibile e altruista – quando Colin, insieme ai colleghi Johnny Depp e Jude Law, è stato chiamato da Terry Gilliam per completare l’ultimo film di Heat Ledger: Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo. I tre attori sono saliti sul carrozzone delle meraviglie del Dottor Parnassus e hanno celebrato la memoria del proprio amico scomparso prematuramente, prima della fine del film: le loro parcelle sono state interamente devolute alla figlioletta di Ledger, Matilda.

5a133gwiz7k7bvvs8siprj15s

Fright Night – Il vampiro della porta accanto

L’abbiamo visto interpretarsi sul grande schermo in tutte le sue sfumature, dalle più malvagie – tra cui spicca l’irresistibile vampiro Jerry di Fright Night – Il vampiro della porta accanto (Craig Gillespie, 2011), svenevole predatore in canotta dalle movenze feline – alle più appassionate, alle più comuni – in Total Recall – Atto di forza (Len Wiseman, 2012), Colin è l’uomo qualunque, insoddisfatto e in cerca di nuovi stimoli mentali, nell’accezione più fantascientifica del termine.
Soprattutto, non ha mai celato al grande pubblico le sue fragilità: in Sogni e Delitti (Cassandra’s dream di Woody Allen, 2007) è un debole, schiavo di tutti quei vizi che all’attore sono così familiari: “Incarnare un personaggio così fragile è stata una liberazione. Dopo tanti ruoli duri, forti, d’azione, che mi hanno affidato: un uomo comune. Non uno che va in giro a far fuori tutti quelli che vede”.

solace

Premonition

La sua ultima fatica è Premonition (Afonso Poyart, 2015) che vede l’attore tornare sui suoi passi, interpretando l’ennesimo killer che, però, questa volta, presenta una particolarità in più rispetto ai suoi predecessori: è in grado di prevedere il futuro.
Insomma è chiaro che Colin Farrell è ancora in grado di reinventarsi e confezionare interpretazioni degne di nota – quanto è palese che il suo irresistibile charme da bello e dannato è rimasto intatto.

 

 

Johnny Depp – Un volto da biopic

Johnny Depp

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Ottobre 2015 – Anno II – N.09 – 
[Pagg. 67-70] (download qui)

Johnny Depp va ad aggiungere alla sua galleria di volti e maschere squisitamente grottesche e clownesque, quella semicalva, con i denti marci e gli occhi chiarissimi e spietati di Jimmy “Whitey” Bulger – efferato gangster della Boston anni Settanta e Ottanta. Bulger è stato per alcuni anni la seconda persona più ricercata dagli Stati Uniti – secondo solo a Osama Bin Laden.

“Ho trovato il malvagio in me molto tempo fa e l’ho accettato, siamo vecchi amici ormai. Un personaggio va sempre affrontato come se fosse un essere umano perchè nessuno credo che si svegli la mattina dicendo, oggi sarò cattivo. Certo, c’era la violenza, ma faceva parte del suo lavoro; era come un linguaggio da usare per fare affari”.

In questi termini, l’attore, descrive la sua ultima interpretazione in Black Mass (Scott Cooper, 2015), tratto dal libro Black Mass – The Irish Mob, The FBI and A Devil’s Deal, scritto dai due giornalisti d’inchiesta del Boston Globe, Dick Lehr e Gerard O’Neill.
Del resto, Depp sembra essere da sempre particolarmente attratto dal vestire i panni di gangster realmente esistiti – lo ricordiamo nelle interpretazioni di Joe Pistone in Donnie Brasco (Mike Newell, 1997), dramma psicologico di un agente FBI che è penetrato nella mafia newyorkese talmente a fondo da permettere a quest’ultima di insinuarsi dentro di lui; George Jung, braccio destro di Pablo Escobar, in Blow (Ted Demme, 2001) e John Dillinger in Nemico Pubblico (Michael Mann, 2009), criminale romantico, cavalleresco, degli anni della Grande Depressione americana, che l’attore considera un eroe populista, una sorta di Robin Hood.

Johnny Depp in Alice in Wonderland.

Nonostante le più celebri trasformazioni di Johnny Depp siano quelle sopra le righe, che lo vedono dare anima e corpo a personaggi atipici, outsider, dalle smorfie schizofreniche e le movenze slapstick, l’attore ha sempre dimostrato di essere dotato di una mirabile dote empatica ed immedesimativa – complice una minuziosa preparazione che gli permette di scomparire nei propri ruoli. Per i biopic, Depp ha sempre voluto incontrare i protagonisti reali della storia, che poi avrebbe fatto rivivere sul grande schermo.

Johnny Depp e Al Pacino in Donnie Brasco.

Per Donnie Brasco, l’attore parla a lungo con il vero Joe Pistone – ne acquisisce gestualità ed espressioni, trasponendone sul grande schermo una rappresentazione così accurata che il vero Pistone ha dichiarato di aver rivisto sé stesso. Depp ci mostra la metamorfosi psicologica del personaggio, attraverso un continuo rimescolarsi delle sue due identità – quella reale e quella fittizia – combinando il “mutismo attonito di Joe e la freddezza di Donnie”.

Johnny Depp in Blow.

Anche per l’interpretazione di George Jung, Johnny si reca da lui in prigione e scava tra le sfumature della sua personalità per capirlo a fondo e farlo proprio: ed il risultato è nuovamente un successo – alla visione del film, il vero Jung commenta:
Era me. È diventato me… la sua voce, le sue azioni, il suo modo di fare, tutto. Totalmente. È quasi spaventoso”.

Johnny Depp in Nemico Pubblico.

John Dillinger è sicuramente il personaggio più complesso dei tre; con lui, Depp sente una sorta di connessione emotiva:
Questo personaggio aveva in qualche modo colpito la mia immaginazione per il suo carattere e per l fatto di vivere in un tempo in cui gli uomini erano davvero uomini. […] lui è stato nel bene e nel male esattamente quello che era, senza compromessi”.
Per calarsi al meglio nella parte, Johnny ha frequentato i covi in cui Dillinger era solito recarsi, ha maneggiato le sue armi, ha visitato la prigione da cui il gangster è evaso. Tuttavia, l’attore si affida soprattutto al suo istinto per dipingere al meglio il quadro di questa personalità forte, senza perdere di vista nemmeno una delle mille sfaccettature che l’hanno resa tale.

Johnny Depp in Black Mass.

Come è solito fare, Depp chiede di incontrare anche il vero Whitey Bulger, ma quest’ultimo declina l’invito:
Ha rifiutato di vedermi, non credo sia un grande ammiratore del libro da cui è tratto il film”.

Black Mass rientra perfettamente nella categoria dei gangster movie, poiché tutto lo spazio emotivo e narrativo appartiene al cattivo – appunto, Jimmy Bulger. Cooper riassume in 120 minuti più di vent’anni di storia americana, seppur la narrazione sia totalmente dislocata geograficamente – frutto della testimonianza a posteriori dei “pentiti”. Il racconto si apre sul faccione di uno dei malviventi della Winter Hill Gang – confederazione criminale di Boston, composta prevalentemente da malfattori di origine irlandese, a cui Bulger era a capo – che buca lo schermo e ci trasmette una vaga soggezione. I volti dei criminali sono fortemente espressivi e tipicizzati: il regista ci restituisce in pillole, attraverso i primissimi piani di quelle facce segnate da un’algida ed imperiosa freddezza, un quadro altisonante, claustrofobico, a tratti cruento, a tratti bramoso di una tacita e rispettosa compassione.

“Per me era importante che il pubblico sentisse il film attraverso i personaggi, che lo vivesse attraversi di loro come se ne facesse parte, e ho pensato che più avessi avvicinato la macchina da presa, più l’effetto sarebbe stato soffocante. Claustrofobico. Ti fa sentire come se fossi lì con loro, ma al contempo restituisce anche l’impressione di una sorveglianza continua”.

Cooper ci prende per mano, ci invita a condannare le azioni spietate e sanguinarie di Jimmy, e ad assolverlo nei panni di padre ferito, figlio devoto, fratello amorevole.

Johnny Depp in Black Mass.

Depp, irriconoscibile nei panni del bolso killer con lo sguardo di ghiaccio, ci restituisce tutti i tic di un uomo malvagio e devastato – la cui unica reazione al dolore è il causarne altrettanto ad altri. L’attore ne parla in questi termini:

“A prescindere da quanto possa essere considerato malvagio, c’è un qualcosa di poetico in questo personaggio, che veniva da quella generazione di migranti irlandesi molto orgogliosi e che aveva rapporti molto stretti con i familiari. Era molto leale nei confronti delle persone con cui era cresciuto e magari la mattina aiutava una vecchietta e la sera uccideva una persona”.

Black Mass è la storia di un’alleanza: quella tra Bulger e il suo amico d’infanzia John Connolly (Joel Edgerton). Quest’ultimo, diametralmente opposto al primo (seppur solo in apparenza): un agente FBI che, nonostante orologio d’oro al polso, completi costosi e fare da signore, latita di carisma e rimane unicamente una pedina del gioco di Bulger, dall’inizio alla fine del film.

“I miei idoli sono John Barrymore, Marlon Brando, John Garfield, attori che si sono sempre trasformati nei film. Ho voluto sempre essere più un caratterista che un ragazzino da appendere sui poster come hanno cercato di fare con me in passato. Un attore ha un grado di responsabilità verso il pubblico e deve dargli qualcosa di inatteso e di diverso per non annoiarlo”.

Black Mass non diventerà un cult – ma sicuramente, è innegabile che Depp possa venir considerato tutt’oggi un ottimo interprete trasformista, parodistico o realistico che sia il suo ruolo.

Robert Zemeckis – Il successo della formula “One Man Show”

Robert Zemeckis

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Ottobre 2015 – Anno II – N.09 – 
[Pagg. 46-50] (download qui)

I limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni” – P. Petit.

Il 7 agosto 1974 centinaia di newyorkesi con il naso all’insù guardavano estasiati l’esaudirsi dell’impresa impossibile di Philippe Petit: il giovane funambolo francese che quella mattina ha attraversato per ben 8 volte, camminando su un filo teso clandestinamente a 412 metri da terra, la linea d’aria tra le imponenti Torri Gemelli del World Trade Center.
La poetica danza, sospesa tra terra e cielo, disobbedendo alla gravità, del giovane dallo spirito sovversivo e appassionato, è diventata un simbolo – una traversata leggendaria a cui Robert Zemeckis, maestro degli effetti speciali, non ha esitato a dedicare un film: The Walk.
La pellicola racconta con estrema leggerezza e profonda ammirazione, l’impresa senza precedenti di Petit, muovendosi abilmente sul sottile filo della sospensione dell’incredulità che si evolve in un tripudio vertiginoso di emozioni – Zemeckis ci racconta la favola di un sognatore, parabola di un artista visionario.

“Voglio che il mio film, una lettera d’amore alle Torri e alla tecnologia più avanzata, sia un’esperienza inedita per chi paga il biglietto ed è pronto a sognare”.

Philippe Petit

Quell’ardore artistico che brucia a fiamma alta dentro Petit ha coinvolto irrimediabilmente il regista durante il loro primo incontro – Zemeckis ne parla in questi termini:

“Appena incontrato Philippe l’ho amato immediatamente, è un magnifico affabulatore. […] in fondo l’impulso di Philipe è un qualcosa a cui il pubblico può avvicinarsi, capirlo. Il film funziona perchè presentiamo il suo bisogno innato di espressione artistica. – e continua – Abbiamo un sogno che dobbiamo fare uscire, è una cosa più grande di noi, spesso andando anche contro chi invece tale ardore non lo possiede”.

J. Gordon Levitt si dimostra un interprete perfetto per il funambolo, il quale ha insistito per insegnargli in prima persona a camminare su una fune.
Il primo incontro con Philippe Petit lo ricordo molto bene – afferma l’attore – mi disse: ‘Vedrai che nel giro di otto giorni ti insegnerò a camminare su una fune d’acciaio con un’asta tra le mani’. E così è stato. […] Lui ha visto nascere le due Torri e ha letteralmente tracciato un filo con una matita da una cima all’altra. Nel giocoliere e funambolo francese riconosco l’arte del sognatore, l’atto di qualcuno che ha saputo ispirare il mondo con la propria storia”.
L’attore, profondamente ispirato dal genio del francese, dichiara:

“La vita di ognuno di noi somiglia a quella del funambolo Philippe Petit. Sospesi su un cavo d’acciaio, a passo leggero, corpo e mente alla ricerca di equilibrio, mentre il mondo fuori lentamente scompare. Ed ecco gli ultimi tre passi, quelli decisivi, tra il vuoto e la meta. Sono i passi in cui ci giochiamo tutto”.

Joseph Gordon-Levitt e Charlotte Le Bon in una scena del film.

Un film che vale appieno il prezzo del biglietto e che sancisce, a detta dello stessa regista, il culmine di tutti i suoi film con effetti visivi:

“Ricordo di aver detto ai miei colleghi mentre facevo il film: ‘Credo che questo sia il culmine di tutti i film con forti effetti visivi della mia carriera’. Tutto quello che ho imparato nei miei film precedenti ha trovato il suo apice nella realizzazione di questo film”.

Un’ottima premessa da parte di un cineasta audace in grado di gettare il cuore oltre ogni ostacolo tecnologico, quale è Zemeckis.

Robert Zemeckis si laurea in cinema nel 1973 e inizia la sua carriera in veste di montatore; stringe un prezioso sodalizio artistico con lo sceneggiatore Bob Gale e Steven Spielberg: dalla cui collaborazione nascono le pellicole 1964 – Allarme a New York, arrivano i Beatles e 1941 – Allarme a Holywood. Il primo grande successo del regista outsider è All’inseguimento della pietra verde (1984) – una concitata commedia brillante e romantica che non annoia e fa conoscere al mondo Danny DeVito. Umorismo e sentimento diventano fin da subito le due pietre miliari della sua filmografia.
Nulla sul serio, ma tutto per bene” è il motto del regista, la linea guida che lo porterà alla realizzazione di capolavori senza tempo, destinati a rimanere impressi nella storia del cinema, come la trilogia di Ritorno al futuro (1985). Un capolavoro di fantascienza e teen drama, all’avanguardia per quegli anni, dissacrante e mirabolante – un cult inconfondibile, ancora incredibilmente attuale, imitato e citato di continuo. Il regista gioca sul territorio – perlopiù inesplorato allora – dei viaggi temporali e costruisce due personaggi indimenticabili, Marty McFly (Michael J. Fox) e Doc Emmet Brown (Christopher Lloyd), lo strambo e geniale scienziato. Ritorno al futuro è un folle viaggio esistenziale alla scoperta di ciò che eravamo, siamo e saremo – il regista mescola e sovrappone sapientemente diverse epoche, a partire dall’affascinante scenario americano degli anni Cinquanta, esplorando la lontana epopea west e volando fino ad un futuro, ultra-tecnologico che è stato etichettato 21 Ottobre 2015. Noi possiamo testimoniare che, anche se non sono state ancora inventate scarpe auto-allaccianti o skateboard volanti, ci sentiamo ancora profondamente connessi all’immaginario collettivo plasmato dall’immortale trilogia a orologeria.

Christopher Lloyd e Michael J. Fox in Ritorno al Futuro.

Al di là della trama, Ritorno al futuro è stata la prima saga ad essere girata back-to-back (il secondo e il terzo capitolo sono stati realizzati in concomitanza) e ad introdurre al cinema effetti speciali strabilianti – per citarne uno, l’incredibile ricostruzione scenica della Hill Valley del 2015.
Successivamente, Zemeckis ha dato vita ad un ambiguo cocktail di live-action e stop-motion, affiancando attori in carne ed ossa a simpatici protagonisti dei cartoni animati – Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988). Ancora una volta l’ironia regna sovrana in un progetto ambizioso, geniale, che ha introdotto un altro immortale personaggio, la computerizzata rossa tutta curve animate – Jessica Rabbit.
Nel 1992, con La morte ti fa bella, l’ormai comprovato maestro degli effetti speciali mette a punto un’altra opera visivamente spettacolare seppur straniante: il tema è quello della chirurgia plastica, dell’ossessione per la giovinezza e la trasformazione fisica – Zemeckis agisce senza remore sul corpo umano, scomponendolo letteralmente, dissacrandolo, trattandolo come fosse uno dei manichini usati in Chi ha incastrato Roger Rabbit per semplificare il lavoro degli attori.


Tuttavia, la sua passione per gli effetti speciali, per la leggerezza, l’umorismo e al tempo stesso l’epicità, trovano la loro più grande espressione in quello che è stato forse il suo più grande capolavoro, epopea del mito americano, vincitore di 6 premi Oscar – Miglior film, Miglior regia, Miglior attore protagonista, Miglior sceneggiatura non originale, Miglior montaggio, Migliori effetti speciali. Forrest Gump (1994) è un piccolo gioiello di storytelling e cinematografia, modellato su un eroe atipico, istintivo e puro, la cui bellezza e attrattiva nasce proprio dall’imperfezione; un moderno Gulliver a cui dà il volto Tom HanksMi chiamo Forrest Gump. Tutti quanti mi chiamano Forrest Gump.
Zemeckis ripercorre circa trent’anni di storia, facendo un lavoro certosino nella ricostruzione delle ambientazioni storiche e nell’inserimento dell’attore in una serie di filmati storici, accanto alle più spiccate personalità di quegli anni (es. John Fitzgerald Kennedy e John Lennon). Forrest Gump è la suggestiva parabola di un uomo che ha cambiato la storia americana senza neanche rendersene conto, in balia degli eventi e del proprio istinto primordiale: Mamma diceva sempre: la vita è uguale a una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita.
È proprio così che Forrest viveva la sua vita, ed è così che Zemeckis ci invita a vivere questo film: con la purezza di chi riesce a filtrare la brutalità del mondo che lo circonda, inspirando ed espirando prepotentemente amore.

Robert Zemeckis e Tom Hanks sul set di Forrest Gump.

Quello tra Zemeckis e Tom Hanks è un sodalizio artistico che dà forma ad un altro intramontabile capolavoro – Cast Away (2000). Hanks è Chuck Noland, naufrago obbligato ad ingegnarsi per provvedere come può al proprio sostentamento. Se Chuck Noland sembra essere una versione rivisitata di Robinson Crusoe, la pellicola di Zemeckis pare configurarsi come matrice di creazioni più moderne e di successo – come la serie televisiva, Lost. Cast Away è stato, tra le altre cose, il più grande esempio di product placement (FedEx, Wilson – nome impresso sul pallone, unico inanimato compagno di avventura di Chuck) – ancora una volta, Zemeckis si dimostra del tutto a passo con i tempi, se non addirittura in anticipo rispetto agli stessi. Nonostante la circostanza drammatica del naufragio, questo film si auto-configura come fanta-comico, pregno di gag e momenti esilaranti.

Una scena del film, Cast Away.

Qualche anno più tardi, con Flight (2012), il regista sembra volerci restituire un’avventura analoga, riletta da un altro punto di vista. Anche il più recente Flight è un one man show – anche se questa volta il mattatore porta i segni del volto di Denzel Washington, nei panni di un perdente, affetto da una dipendenza dall’alcol, diventato eroe suo malgrado grazie all’incredibile manovra con la quale è riuscito ad evitare il disastro aereo. La sequenza di questo salvataggio in extremis è ancora una volta segno indelebile di una tecnica cinematografica imponente e di un’attenzione ai dettagli che fa dei film di Zemeckis dei capolavori di visionarietà e FX – talvolta, arricchiti dalla motion capture. Tale tecnica è stata più volte sperimentata dal regista, in pellicole come Polar Express (2004), La leggenda di Beowulf (2007) e in particolare A Christmas Carol (2010) – culmine del connubio tra realtà e finzione, in cui attori come Jim Carrey, Gary Oldman e Colin Firth sono chiamati ad indossare abiti di pixel e, allo stesso tempo, ridonare vita al classico di Charles Dickens, seppur senza intaccarlo.

A Christmas Carol

Digitale e reale si contaminano continuamente, in un’incessante danza ai limiti del credibile dall’inesauribile e trascinante carica emotiva – saturo di humour e sentimento, in bilico tra classicità e avanguardia. Questa la più pregnante definizione della lungimirante opera di Robert Zemeckis – un artista in grado di rendere immortale e memorabile tutto ciò a cui dà forma.

Jake Gyllenhaal – Un attore dai mille volti

Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Settembre 2015 – Anno II – N.08 – [Pagg. 19-23] (download qui)

Jacob Benjamin Gyllenhaal nasce a Los Angeles il 19 dicembre 1980. Figlio d’arte: con il padre regista, la madre sceneggiatrice e la sorella attrice non si può negare che Jake abbia davvero il cinema nel DNA! La sua carriera inizia, infatti, fin da bambino, quando a 10 anni appare sul grande schermo nella commedia Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche (Ron Underwood, 1991). Il debutto vero e proprio arriverà, però, qualche anno più tardi con il film Cielo d’ottobre (Joe Johnston, 1999) – film basato sull’autobiografia di Homer Hickam Jr, ingegnere spaziale della Nasa. Jake inizia a farsi strada nel mondo di celluloide indossando i sogni e le ambizioni di un ragazzino nato in una piccola città mineraria della Virginia nel 1957 con una smodata passione per il cielo, che riesce a diventare un tecnico spaziale e a lanciare il primo razzo nello spazio. Tuttavia, la porta d’ingresso per far breccia nel cuore degli spettatori è rappresentata da Donnie Darko (Richard Kelly, 2001) – un cult cinematografico il cui significato non è universale, bensì desumibile attraverso innumerevoli chiavi di lettura.

Un film a cui è impossibile apporre un’etichetta, surreale e pregno di ermetismo: ciononostante l’allucinatorio mondo, volutamente deformato, che il regista ci mostra attraverso la lente della schizofrenia di cui il protagonista Donnie è affetto, riesce ad emozionare – giocando sul campo espressivo dell’inconscio. Appartengono a Gyllenhaal quegli occhi chiari e folli, illuminati della stessa luce sinistra di cui brilla il film.


La carriera di Jake continua tra pellicole indipendenti – come l’ambiguo The Good Girl (Miguel Arteta, 2002) in bilico tra commedia e dramma, al fianco di Jennifer Aniston – a film “pop-corn” come il fantascientifico campione d’incassi The Day After Tomorrow (Roland Emmerich, 2004) o Prince of Persia: Le sabbie del tempo (Mike Newell, 2010), dalle tinte arcade. Nell’ultimo periodo, l’attore ha iniziato a dare sempre meno peso alle previsioni di Box Office e a prender parte a copioni più complessi, tra cui è doveroso citare i due thriller al cardiopalma diretti da Denis Villeneuve: l’ossessivo Prisoners ed il criptico Enemy. Ma quella che è da definirsi una vera e propria performance degna di nota è senz’altro quella nei panni dell’immorale e perverso paparazzo di cronaca nera Lou in Lo sciacallo (Dan Gilroy, 2014): un thriller capace di entrare sottopelle e stimolare una triste riflessione sulla società in cui viviamo, in cui il dissoluto consumismo e la totale assenza di scrupoli fanno da sovrani.


Jake traccia, con un’interpretazione da Oscar, il profilo di un sociopatico, figlio di una società malata che ha venduto l’anima al diavolo dei mass media in cambio di denaro sporco. Lou si macchia di un perverso voyeurismo che lo spinge a collezionare immagini brutali di sangue e dolore, da riciclare in prima serata per un pubblico che, seppur senza “sporcarsi le mani”, fa il suo gioco. Ed in effetti, è proprio questo il motore che fa funzionare la trama: il pubblico finisce per fare il tifo per quel subdolo antieroe. Lo sciacallo rimarrà per Jake un ricordo incancellabile – letteralmente:
Eravamo nel mezzo di una scena dove c’era uno specchio – ricorda l’attore – e io ho tirato un pugno nello specchio. […] È stata una decisione presa in quel momento”.
Se per questa parte l’attore ha dovuto perdere oltre 13 chili, la lavorazione del recentissimo Southpaw – L’ultima sfida (Antoine Fuqua, 2015) gli ha imposto un duro training per poter arrivare ad avere una muscolatura da pugile professionista.


Southpaw
narra la storia di Billy “The Great” Hope, il campione di pesi massimi mancino – da qui il titolo – la cui vita prende inaspettatamente una piega tragica. Per confezionare questo film, il regista ha scelto la via del realismo: non è stata prevista nessuna controfigura per Jake – il quale aveva chiaro fin dall’inizio a cosa sarebbe andato incontro, come lui stesso afferma:
Antoine mi ha avvisato subito: ‘C’è solo una parola per spiegarti come fare, ed è sacrificio’. […] Fuqua mi ha detto: ‘Non possiamo bluffare come avviene in tanti film sulla boxe. Se vogliamo fare qualcosa di diverso, dobbiamo girare per davvero, il che vuol dire che non avrai una controfigura e che tutto sarà ripreso come se stesse accadendo in quel momento. Quindi dovrai imparare a combattere’. […] ero costantemente ossessionato da questa paura: sembrerò un’idiota quando salirò là sopra”.
In origine la pellicola era stata pensata per essere il sequel di 8 Mile, con Eminem nuovamente nei panni del protagonista, tuttavia del rapper resta traccia solo in un brano della colonna sonora del film. La trama non si discosta eccessivamente dall’immaginario del mondo della boxe che ormai è ben radicato a livello cinematografico: plasmato dalle pellicole che hanno fatto la storia del cinema, a cui Jake si è dichiaratamente ispirato – “Amavo molto Rocky come tutti i ragazzi degli anni Ottanta, sono diventato attore anche grazie a Toro Scatenato, ma non ero mai salito sul ring”.
Il film viene costruito sulla falsariga di un noto metatesto cinefilo: per risalire dall’abisso della sua sofferenza e tornare a combattere, Billy deve imparare a difendersi – a usare l’astuzia e frenare la rabbia, avvalendosi anche del prezioso aiuto dell’allenatore che ha il volto di Forest Whitaker.
In parallelo, abbiamo visto l’attore alle prese con un’interpretazione diametralmente opposta a quella del pugile violento: parlo di Scott Fischer, impavido protagonista di Everest di Baltasar Kormákur – la pellicola a cui è stato concesso l’onore di aprire la 72° edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

Il film è basato sulla trama del romanzo di Jon Krakauer, Aria sottile e narra la straordinaria quanto tragica impresa di un gruppo di scalatori che nel 1996 perse la vita nel tentativo di raggiungere la cima dell’Everest. Jake ne parla in questi termini: “Questa storia parla di ciò che un essere umano è disposto a fare nelle peggiori condizioni pur di sopravvivere e non arrendersi, soprattutto quando arrendersi sarebbe così facile”.


L’attore ci mostra due delle infinite ed inesplorate facce a cui lo vedremo prestare il proprio volto – l’una plasmata dal coraggio, l’altra deformata da un ghigno di rabbiosa sete di vendetta: “(Sono) Un amante delle sfide. E non solo al cinema, anche se quelle in Everest e Southpark sono state parecchio impegnative”.
Jake Gyllenhaal è forse il più camaleontico tra le giovani promesse del cinema contemporaneo e promette di arrivare in cima alle classifiche, mossa dalla determinazione di un pugile prima di salire sul ring.
Alla prossima sfida, Jake!

La nuova promessa di Hollywood dal fascino british e romantico

Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Agosto 2015 – Anno II – N.07 – [Pagg. 56-60] (download qui)

Ormai è assodato che dietro al nome di Eddie Redmayne, e al suo volto da bambino compenetrato da un fascino da perfetto lord inglese, si nasconde una nuova promessa del cinema.
Edward John David Redmayne nasce a Londra nel gennaio 1982, in una famiglia abbiente che gli permette di frequentare lo stesso Eton College del Principe William e laurearsi in storia dell’arte all’Università di Cambridge – la stessa che ha frequentato a suo tempo Stephen Hawking. Curiosa coincidenza poiché proprio l’interpretazione del rinomato astrofisico segnerà la scalata al successo del giovane Eddie, il cui primo passo è degnamente rappresentato dalla vittoria della preziosa statuetta dorata come Miglior Attore. Mosso da un’irrefrenabile passione per la recitazione, Eddie si divide tra il palcoscenico teatrale, che calpesta in onore di affascinanti opere shakespeariane, le serie televisive cui prende parte e il suo vero amore: il grande schermo. Seppur figlio della Londra aristocratica, Eddie è caratterizzato da una profonda umiltà e riesce a fare tesoro di ogni esperienza:
[…] i personaggi di Shakespeare sono icone tanto quanto Hawking. Ti ci devi avvicinare allo stesso modo, gli spettatori conoscono già quello che porterai in scena”.


Le opere di Shakespeare hanno valenza profetica nella vita del giovane attore, la cui prima parte teatrale importante è quella di Viola nella commedia shakespeariana La dodicesima notte – una ragazza che ha la bizzarra abitudine di travestirsi da uomo. I critici, che hanno molto apprezzato la sua performance, hanno asserito che con quella bocca potrebbe interpretare chiunque ed oggi, più che mai, Eddie conferma appieno la loro tesi con l’interpretazione del primo Transgender della storia – Einar Wegener in The Danish Girl (Tom Hooper, 2015). Il film, ispirato all’omonimo romanzo di David Ebershoff, è stato presentato alla 72° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed ha tutta l’aria di essere destinato a diventare un successo.

Ma partiamo dal principio – Eddie approda al cinema nel 2006, senza sapere assolutamente nulla sul linguaggio cinematografico: è Scarlett Johansson che gli fornisce un elenco di film che deve assolutamente vedere se vuole diventare un attore. Le sue prime apparizioni sono sancite dal film corale The Good Sheperd – L’Ombra del potere di Robert De Niro, composto da un cast a dir poco stellare in cui il giovane Eddie si ritrova due divi come genitori, Matt Damon e Angelina Jolie; in Savage Grace (Tom Kalin, 2007) è nuovamente figlio di un’attrice da Oscar, Julianne Moore, mentre in Elizabeth: The Golden Age (Shekhar Kapur, 2007) indossa i panni di un nobiluomo di quell’epoca che cerca di far scacco matto alla regina – interpretata da una splendida Cate Blanchett – e veste nuovamente costumi storici in L’altra donna del re (Justin Chadwick, 2008). Nel 2012 prende parte al musical diretto da Tom Hooper, Les Misérables in cui dimostra di avere anche delle notevoli doti canore – tanto che, come l’attore stesso rivela:

Ogni intervista durante il press tour finiva con la richiesta di cantare qualcosa”.


Un viso d’angelo, una voce melodiosa, un impeccabile stile british e un look che l’ha reso immagine ufficiale del marchio Burberry nel 2008 e nel 2012: Eddie Redmayne è un ragazzo fortunato e talentuoso, per cui non è difficile immaginare un futuro radioso. La teoria del tutto di James Marsh ha senz’altro rappresentato per l’attore un trampolino di lancio verso il firmamento hollywoodiano: con al centro una delle menti più eccelse di sempre, il Professor Stephen Hawking, la trama del film si articola attorno alla singolare e straordinaria storia d’amore tra l’astrofisico e la sua Jane. Lui, promettente universitario appassionato di cosmologia, con un approccio alla vita di matrice scientifica, determinato a scoprire una formula matematica, una “teoria del tutto” che trovi un significato all’azione congiunta di tutte le forze dell’Universo; e lei, studentessa di Lettere, con un animo delicato, guidato dai moti delle emozioni e ben saldo nella fede. James Marsh ci racconta Hawking senza far complicati riferimenti alle sue teorie, lasciando perlopiù fuori campo quel lato intellettuale che ha reso il suo nome marchio indelebile di conoscenza e saggezza, e ponendo sotto i riflettori, il lato umano di un amore incondizionato e una vita scandita dal progredire di una malattia terribile. In particolare, il regista fa leva sul concetto di forza, di attaccamento alla vita che va oltre ogni congettura scientifica e ogni teoria – quell’energia inspiegabile per cui la medicina aveva condannato lo scienziato al verdetto inevitabile di due anni di sopravvivenza, e oggi Hawking è ultrasettantenne. Per Eddie interpretare Hawking è stata una notevole sfida, soprattutto per la difficoltà nell’interiorizzare la malattia.
Eddie ha dovuto capire a fondo le quattro fasi della malattia e interiorizzarle: la normalità, poi un bastone, due bastoni, la sedia a rotelle e poi perdere la voce”.

Marsh riassume in fasi il complicato lavoro attoriale fatto dal giovane Eddie – il quale ne approfondisce alcuni aspetti:
[…] Per capire qual era stato il percorso di decadimento fisico affrontato da Stephen quello che ho fatto è stato prendere il maggior numero possibile di foto di Stephen da giovane e mostrarle agli specialisti […] seguendo questo criterio sono riuscito a fare una sorta di mappatura dei suoi muscoli e del loro progressivo decadimento in rapporto agli anni”.
[…]Nella fase successiva ho lavorato con una fantastica coreografa e insieme abbiamo riflettuto su come interpretare la malattia a livello fisico”.
Un lavoro straordinario, a tal punto che durante la prima del film, lo stesso Hawking si è emozionato:

“A tratti credevo di essere io”.

Stephen ha contribuito attivamente all’eccezionale risultato del film, sia recandosi direttamente sul set durante le prime riprese, sia prestando la propria vera voce come chiosa finale del film: inconfondibile, sintetizzata dai macchinari che gli permettono di parlare. Un’opera straordinaria che ha ricevuto i meritati riconoscimenti da pubblico e critica. Eddie, un interprete straordinario, il cui segreto per il successo risiede nella sua sconfinata umanità – per cui, una volta ricevuta l’ambita statuetta a consacrazione della magnificenza del lavoro svolto, la sua pronta reazione è stata puntare il dito verso la sua mogliettina, Hannah Bagshawe, e pronunciare solenne: “Hannah, I love you so much”.

Come già anticipato, vedremo presto l’attore fronteggiare un altra notevole sfida: affrontare un tema sensibile come la transessualità, interpretando il primo uomo al mondo che, nel Novecento, si è sottoposto ad una serie di interventi chirurgici per poter diventare donna, potrebbe garantirgli un secondo Oscar. Non è stato semplice per Eddie prepararsi a questo ruolo, poiché ha dovuto imparare a guardare la vita da un’angolazione diametralmente opposta alla propria:
Abbiamo cercato di guardare tutto attraverso un’ottica femminile. Come sedersi, come camminare, come rimanere in posa, come mettersi un paio di calze, come indossare un paio di tacchi e come camminarci. Tutto”.
Guardando al futuro, tra i prossimi progetti della giovane stella del cinema c’è Gli animali fantastici: dove trovarli, tratto dall’omonimo romanzo dell’autrice della saga di Harry Potter, J.K. Rowling. Il film spin-off della saga, la cui uscita è prevista per novembre 2016, dedicato alla Magizoologia – ergo lo studio delle creature magiche – materia fondamentale per gli studenti di Hogwarts, in cui Eddie interpreterà il magizoologo Newt Scamandro. Il regista, David Yates, si è definito entusiasta dell’ingaggio dell’attore:
Eddie è un attore straordinario, senza paura, pieno d’iniziativa, intelligente e sensibile. Non posso che essere eccitato all’idea di lavorare con lui in questa nuova avventura nel magico mondo di J.K. Rowling, e so per certo che anche lei prova le stesse cose”.
Non possiamo che attendere con trepidazione di vedere un nuovo volto del poliedrico Eddie Redmayne e fare il tifo per lui: “Eddie, We love you so much”!

Brad Pitt – 50 anni e non sentirli

A cura di Alexia Altieri

Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Giugno 2015 – Anno II – N.06 – [Pagg. 12-16] (download qui)

Attualmente sul grande schermo alla guida di un carro armato chiamato Fury – la lucentezza di una star come Brad Pitt, anche dopo 50 primavere, continua a brillare nel firmamento hollywoodiano.

È stato un ladro-autostoppista, nel film trampolino di lancio che ha decretato l’inizio della sua fama – Thelma & Louise (Ridley Scott, 1991), e poi è diventato un sex symbol a livello mondiale – con tanto di (doppia) incoronazione da parte del settimanale People, come uomo più sexy del mondo – consacrato da pellicole come Vento di passioni, Intervista col vampiro e l’enigmatico (e geniale) Seven.
L’abbiamo visto donare bellezza, eleganza e fascino alla Morte, e poi nei panni del doppio superomistico di un’anima scissa, afflitta da psicosi; ed ancora, tra daghe, toghe e tuniche nell’interpretazione dell’epico Achille omerico (da cui ha ereditato anche una certa fragilità dei talloni) – per poi afferrare le pistole di un marito annoiato che in realtà cela, al di là della propria abulia, la lucidità di un fatale sicario.
Abbiamo inalato umidità e adrenalina, tra gli spari del fuorilegge Jesse James; abbiamo sospirato, tra un sorriso ed il suo retrogusto amaro, nell’assistere ad un’affascinante vita che va al contrario; abbiamo abbracciato quel sogno proibito di vendetta da parte degli ebrei, esercitata dai Bastardi dell’ambizioso film con cui Tarantino ha – a suo modo – riscritto la storia.

William Bradley Pitt nasce a Shawnee – Oklahoma il 18 dicembre 1963. Maggiore di tre fratelli, cresce a Springfield dove inizia un percorso universitario che non lo gratifica, e sviluppa inconsciamente un amore viscerale per il cinema.

Da giovane frequentavo i drive-in con tutta la mia famiglia – racconta l’attore – penso sia da questo che è nato il mio interesse per la recitazione”.

Così lascia tutto e si trasferisce a Los Angeles – con una piccola somma di denaro in una tasca, ed un grande sogno nell’altra. Qui, tra lavori occasionali ed un buffo travestimento da pollo per pubblicizzare il ristorante El Pollo Loco, s’impegna per guadagnare quanto necessario al pagamento delle prime lezioni di recitazione.
Se determinazione ed ambizione sono state le sue armi vincenti, la sua esteriorità ha fatto il resto – e ben presto, gli sfavillanti portoni di Hollywood si sono spalancati dinanzi a lui. Nato come sex symbol, nel corso delle sue interpretazioni, Brad ha dimostrato di essere bello e anche molto bravo – seppure l’Academy non l’abbia mai premiato come migliore attore. Eppure, nel suo curriculum annovera interpretazioni che avrebbero indubbiamente meritato una statuetta.

In Fight Club (David Fincher, 1999), ad esempio, interpreta un ruolo complesso ed enigmatico – per la preparazione del quale, è costretto a sottoporsi ad un duro allenamento e sceglie, inoltre, di farsi rimuovere una parte della dentatura per infondere maggiore credibilità al proprio personaggio. Tyler Durden è il risultato di un ego ipertrofico, afflitto da un profondo disagio esistenziale – Brad Pitt è l’altra faccia della stessa medaglia dello psicotico interpretato da un altrettanto eccellente Edward Norton. Questo capolavoro di Fincher, sempre così incredibilmente attuale ed impossibile da intrappolare in un’unica definizione – una pellicola drammatica, seppur a suo modo grottesca, con venature thriller, sullo sfondo di un allucinatorio viaggio psicanalitico – consacra l’attore nell’aurea dimensione divistica.
Tuttavia, Brad aveva già avuto modo di interfacciarsi con la pazzia, in L’esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam (1995) – che gli aveva fatto conquistare la sua prima nomination agli Oscar come attore non protagonista.

Particolarmente a proprio agio in ruoli complessi, di un certo spessore psicologico, è assolutamente da citare l’interpretazione che l’attore fa del personaggio simbolico della morte – in Vi presento Joe Black di Martin Brest, 1998 (remake di La morte in vacanza, Mitchell Leisen, 1934). Una Morte bramosa di Vita ed, in particolare, della più alta espressione di energia vitale che è l’Amore – una Morte di cui tutti noi avremmo meno paura se avesse il volto e la delicatezza di Brad Pitt. L’attore riesce ad infondere credibilità a questo ruolo, attraverso un silenzio carico di malinconia ed emozioni al loro stadio primordiale. Eros e Thanatos volteggiano in un toccante tango per tutta la durata del film – e alla fine rimane solamente una certezza: la vita è un’esperienza a cui è difficile rinunciare, perfino per la Morte.

Il bel divo ha interpretato un ruolo altrettanto toccante in Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher, 2008. Il regista descrive il suo personaggio in questi termini:

“Benjamin è come un pallino da biliardo e tutti coloro che incontra lasciano un segno su di lui. Questa è la vita: una collezione di ammaccature e graffi che ti fanno essere quello che sei e nessun altro”.

Benjamin Button porta su di sé, fin dalla nascita, i segni del Tempo – indiscusso protagonista di questa singolare pellicola, tratta da un racconto breve di Francis Scott Fitzgerald. La storia narra di un uomo che vive il proprio tempo all’incontrario – nascendo con il peso degli anni sulle spalle e i segni della saggezza che gli solcano il volto. L’ottuagenario, con lo scorrere del tempo, vedrà la pro, passare dal vigore fisico dei trent’anni, ai brufoli adolescenziali sulle gote, al pianto di un neonato che è giunto al termine del proprio ciclo vitale. Brad, che è stato invecchiato e ringiovanito per la parte – grazie al prezioso aiuto di make-up ed effetti speciali moderni – è stato chiamato a misurarsi con una sfida ben più grande di quella che potrebbe essere un’evoluzione fisica, bensì quella psicologica – creare un personaggio, la cui vita è scandita da una singolare commistione di evoluzione e regressione. Il film è stato spunto di riflessione anche per l’attore stesso:

“Questo film mi ha fatto un regalo, mi ha fatto capire che il tempo che abbiamo è breve. Oggi non so se ho di fronte ancora dieci giorni o 40 anni. Sono alla fine o a metà della mia strada? Non lo so, quindi devo stare attento a non sprecare un singolo momento in meschinità, amarezza o pigrizia. E a circondarmi solo di persone importanti per me. […] Ho un amico che lavora in un ospizio e mi ha detto che gli anziani, vicino alla morte, non parlano dei loro successi o dei libri scritti o dei trofei conquistati. No, parlano solo delle persone che hanno amato”.

Con una moglie come Angelina Jolie – per la cui unione fu galeotto il film Mr. & Mrs. Smith – ed una tribù di 6 figli al seguito, a Brad non mancheranno sicuramente persone da amare!

Attore dal talento versatile, nella cui filmografia – oltre a pazzia e romanticismo, si contano svariate (ed ottime) interpretazioni nei più disparati generi.
Basti pensare alla fortunata trilogia blockbuster, in stile squisitamente comedy-crime inaugurata da Ocean’s Eleven – Fate il vostro gioco, nel 2001: per cui Brad, affiancato da uno sgangherato gruppo di simpatiche canaglie, interpretate da colleghi del calibro di George Clooney, Matt Damon, Andy Garcia e Julia Roberts – si è misurato con il genere gangster.

Di recente, poi, l’action sembra essere indubbiamente diventato il genere prediletto dall’attore – che abbiamo visto destreggiarsi tra spari, truffe e guerre in titoli come Cogan – Killing Them Softly (Andrew Dominik, 2012), il fantascientifico World War Z (Marc Forster, 2013), The Counselor – Il procuratore (Ridley Scott, 2013) ed il recentissimo  (David Ayer, 2015).

Si può dire che Brad non abbia sbagliato un colpo – ed è per questo che, seppur l’attore abbia svelato la propria volontà di dedicarsi esclusivamente alla produzione cinematografica, con la sua Plan B, noi ci auguriamo che l’accattivante sex symbol, nato on the road negli anni Novanta e maturato, fino a diventare uno dei divi più celebri della Storia del Cinema, non smetta di regalarci interpretazioni da Oscar (o quasi).

I 15 Film Evento del 2017

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema – consultabile qui

Se il 2015 è stato da tempo preannunciato come anno da record per il cinema – in linea con lo spropositato quantitativo di sequel o storie nuove, inedite e promettenti, in uscita nelle sale – da quanto emerso durante la CinemaCon di Las Vegas, l’anno 2017 promette ancora meglio!
Anche se è stato arduo selezionare quali grandi titoli citarvi, ne abbiamo scelti quindici, che vi presentiamo in ordine cronologico.

Lasciamo a Cinquanta Sfumature di Nero il compito di aprire le danze – il sequel del romanzo a tinte sado-erotiche nato dalla penna di E. L. James, Cinquanta Sfumature di Grigio, pare verrà confezionato e consegnato agli impazienti milioni di appassionati alla trilogia di best seller della scrittrice britannica, proprio nel 2017. Seppure la regista del primo film – Sam Taylor-Johnson, e la sceneggiatrice – Kelly Marcel, non torneranno per il secondo capitolo, ad occuparsi della sceneggiatura di Cinquanta Sfumature di Nero sarà Niall Leonard, marito della James – la quale avrà, così, modo di supervisionare e avere l’ultima parola sulla stesura dello script. È arrivato il momento di sciogliere il nodo della cravatta, sbendarci e prepararci ad indossare una lasciva maschera veneziana – attraverso cui spiare le 50 sfumature di nero pronte ad insidiarsi nella vita dei due amanti, Christian Grey ed Anastasia Steele.

The LEGO Movie (Phil Lord e Chris Miller, 2014) ha introdotto la versione a mattoncini assemblati di Batman, a cui Will Arnett ha prestato voce e personalità. Il giocattolo animato con le fattezze dell’affascinante eroe mascherato ha letteralmente rubato lo show a tutti gli altri personaggi, tanto che il prossimo film promette di fare esplicito omaggio a tutti i ritratti di Batman, inscenati fino ad oggi. Il testimone della regia viene consegnato a Chris McKay per il nuovo film LEGO. Pertanto, il 2017 si preannuncia permeato anche da una vena di ilarità e animazione che non fan mai male.

Sarà anche l’anno dell’addio (personalmente molto sofferto) di Hugh Jackman al personaggio di Logan alias. Wolverine. Il terzo ed ultimo capitolo della saga di spin-off interamente dedicata all’artigliato mutante, vede al timone lo stesso regista di Wolverine – L’immortale, James Mangold. Inoltre, sembra che anche Patrick Stewart – interprete del dottor Charles Xavier, si unirà al cast.
In definitiva, per Jackman è arrivato il momento di appendere gli artigli al chiodo, ed è difficile non essere eccitati all’idea di assistere al modo in cui l’attore vorrà congedarsi da quello che rimarrà per sempre il suo alter ego filmico per antonomasia.

Kong: Skull Island sarà il reboot di King Kong – la cui storia potrebbe apparire buffa ed obsoleta, riproponendola al giorno d’oggi, in questa epoca. Quando la Legendary Pictures ha ottenuto i diritti sull’epico personaggio, ci è parso chiaro che tutto sarebbe andato per il verso giusto – e che l’anziano e spesso deriso mostro classico, avrebbe potuto trasformarsi in una minaccia moderna, ottenendo piena credibilità. Quindi: prendiamo un feroce e gigantesco gorilla, collochiamolo in una misteriosa isola selvaggia, includiamo una grotta a forma di teschio, aggiungiamo poi, che Michael Keaton, J.K. Simmons e Tom Hiddleston faranno parte del cast – ed ecco creato un gustosissimo cocktail sulle origini di un mostro classico del cinema. Questo scatenerà in Godzilla la voglia di un faccia a faccia con il suo compagno di giochi?

Dai mostri alle favole, sembra che assisteremo (nuovamente) alla riproposizione sul grande schermo del classico Disney – La Bella e la Bestia. Adattamento di una delle più celebri fiabe di tutti i tempi, di cui è già stata fatta di recente una versione live action, diretta dal francese Christophe Gans nel 2014 – con Vincent Cassel nei panni della bestia. Per questa nuova versione cinematografica, il regista Bill Condon seguirà le orme di Kenneth Brannagh in Cinderella, e ci farà rivivere una pagina della nostra infanzia. Dan Stevens farà innamorare Emma Watson, nei volteggi confezionati in un elegantissimo abito dorato, tra le mura di un castello incantato, con la gentilezza e l’accortezza propri di un animo regale. Faranno parte del cast anche Luke Evans, Josh Gad, Emma Thompson, Kevin Kline e Ian McKellen – un firmamento di stelle, insomma, che vanno a sommarsi alla magia di una fiaba che ha segnato l’infanzia dei bambini di ieri, e conquisterà senza ombra di dubbio, quelli di oggi.

Torna anche Fast & Furious, per l’ottava volta – che, in realtà, non sembrava dovesse esistere, dopo l’addio dato a Paul Walker ed al suo personaggio, in Fast & Furious 7, che aveva tutta l’aria di volersi configurare come gran finale della serie. Invece, Fast & Furious 8 si farà, e lo conferma lo stesso Vin Diesel. Seppure ancora non sappiamo esattamente quali personaggi della crew rivedremo, iniziamo a scaldare i motori e prepariamoci a quello che sarà – a detta di Diesel, “Il film migliore mai visto prima”.

Assisteremo anche al grande ritorno dei bizzarri e spassosi Guardiani della Galassia. James Gunn ci anticipa che questo sequel si configurerà come padre (letteralmente) di tutti i conflitti – sarà tutta “una questione di padri”. Con il ritorno dell’eccentrica ciurma al completo, già sappiamo che vedremo i nostri amati protagonisti pasticcioni cacciarsi in un numero sproporzionato di disastri – almeno, quanto è sproporzionato l’ego di Star Lord. C’è un interessante punto interrogativo che continua ad aleggiare attorno alle loro avventure: potrebbe il loro operato galattico, avere delle ripercussioni sugli Avengers, laggiù – sulla Terra?

Tornerà anche Star Wars in un ottavo episodio. J.J. Abrams – alla regia per l’imminente VII parte della saga, Star Wars – Il risveglio della forza, passerà il testimone a Rian Johnson (regista di Looper), che prenderà posto sulla sedia del regista, per la gioia di tutti gli affezionati alle guerre stellari. Il regista dovrà mettere da parte la sua sensibilità, e lasciarsi avvolgere dall’atmosfera cupa e incerta che aleggia attorno alla saga. A questo punto, non resta che augurare una lunga vita al fenomeno di fandom ideato da George Lucas.

Anno di grandi conferme, sospirati sequel ed attesi(ssimi) ritorni. Un altro ritorno degno di nota è quello di Toy Story – il film d’animazione rivelazione degli anni Novanta, vero e proprio inno al mondo dei giocattoli. Se da una parte Toy Story 3 aveva posto un commovente fiocco conclusivo sulla saga di Andy, dall’altra ci aveva presentato un nuovo personaggio – la bimba Bonnie, che aveva ricevuto in dono il cowboy di pezza, migliore amico d’infanzia di Andy – Woody, il giocattolo spaziale Buzz Lightyear e tutti gli altri giocattoli che appartenevano al ragazzo. A seguito di tutti i cortometraggi, e gli speciali prodotti in questi due anni sulla saga, si è finalmente riusciti a mettere insieme del materiale necessario per la progettazione di Toy Story 4. Pronti a togliere la polvere da quel vecchio modellino di Buzz Lightyear che tenete su una mensola della camera, nascosto dietro ai pupazzi di vostro figlio?

Dopo tanti supereroi, ecco che finalmente farà capolino un’eroina a cui armatura, forza ed epicità non mancheranno. La Warner Bros. sta pianificando l’uscita di Wonder Woman, per l’estate 2017. L’attrice Gal Gadot sta lavorando sodo per poter dar forma alla celebre eroina amazzoniana, e ce la introdurrà già in Batman v. Superman: Dawn Of Justice – rubando la scena a due capisaldi del fumetto, entrati ormai a pieno titolo nel mondo del cinema e nell’immaginario collettivo.
Lo standalone che le verrà dedicato farà, inoltre, da catalizzatore per un altro importantissimo film firmato dalla DC Comics, che uscirà due mesi più tardi …

Umani da una parte, Scimmie dall’altra – stiamo evidentemente parlando di un sequel (ancora senza titolo) de Il Pianeta delle Scimmie. Dopo L’alba del Pianeta delle Scimmie ed il recentissimo Apes Revolution – Il Pianeta delle Scimmie, la Fox ha deciso di protrarre il franchise con un ulteriore sequel previsto – appunto – per l’estate del 2017. E quest’ultima versione dell’ascesa di Caesar ha tutta l’aria di essere la promessa della messa in atto di un golpe atto a conquistare il dominio del mondo intero, più sfumato ed allo stesso tempo brutale dei precedenti.

Un nuovo Spider-Man bussa alle porte di questo anno ricco di pathos. Nell’attesa di scoprire chi sarà il prossimo attore adatto a vestire i panni (e la tutina da supereroe) di Peter Parker, i fans più accaniti sono già in trepidazione all’idea che l’Uomo Ragno farà il suo ingresso nell’Universo Cinematografico Marvel. Tutto ciò che sappiamo su uno dei protagonisti comics più amati di sempre, è che avrà un’età da liceale e apparirà, per la prima volta, in Captain America: Civil War. Un’unica preghiera – che questo nuovo Spider-Man sia Amazing come ci aspettiamo.

Pacific Rim 2 – abbiamo capito che il numero due sarà il vero trend di questo 2017. I megarobot, Jaeger e i Kaiju sono pronti a mettere nuovamente sottosopra la città – Guillermo Del Toro è il regista e produttore del sequel dedicato ai colossali mostri giapponesi, che è stato richiesto a gran voce dai fan, a cui seguirà anche un terzo capitolo. Sarà Pacific Rim 2 il film evento dell’anno 2017?

“Ragnarok significa essenzialmente la fine di tutto” – Thor: Ragnarok, vedrà un Dio del Tuono particolarmente furioso, una volta scoperto che suo fratello adottivo – quel furfante di Loki, ha preso il sopravvento sulla loro patria. Finalmente il personaggio di Chris Hemsworth potrà brillare di luce propria, in una pellicola dalla trama avvincente, che non ha nulla a che vedere con la debolezza sintattica (e di pathos) dei suoi film standalone precedenti.

Last but not least – probabilmente uno dei film più attesi dell’anno, e finalmente un debutto: sto parlando del cinecomic della Justice League Parte 1. Il fiore all’occhiello di questo 2017 – la versione più oscura, grintosa ed eccitante dello squadrone di supereroi DC, di sempre. Dopo la bruciante delusione dataci dalla cancellazione del film di George Miller, a poche settimane dall’inizio delle riprese nel 2008 – è arrivato finalmente il tanto sospirato momento di vedere i nostri beniamini combattere, fianco a fianco. Preparatevi ad affollare le sale e a lasciarvi condurre in un nuovo (super)universo, di cui finalmente Zack Snyder ci fornirà le chiavi d’ingresso.

I mille volti di una Diva da Oscar – Meryl Streep

Fonte: NewsCinema

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Aprile 2015 – Anno II – N.04 – [Pagg. 31-35]
(download qui
)

Il 22 giugno 1949 viene al mondo Mary Louise, che dalla mamma eredita il tenero appellativo di Meryl ed una deliziosa voce da soprano, che affina prendendo lezioni di canto. Tuttavia, fin da giovanissima è attratta dalla recitazione – inizialmente per quanto riguarda il mondo del musical, finchè prende coscienza di un’innata propensione alla recitazione drammatica e vince il premio Bachelor of Arts alla Vassar College. La sua nomina di “attrice più premiata nel mondo della celluloide”, ha origine fin da allora.

Debutta sul grande schermo con Giulia (Fred Zinnemann, 1977) – un dramma femminile ambientato durante la seconda guerra mondiale – e, da quel giorno, inizia una brillante e multi-sfaccettata carriera che la condurranno al raggiungimento di numeri da record – ad oggi, un totale di 19 nomination agli Oscar, di cui 3 vittorie – e, tra gli altri riconoscimenti, 29 candidature ai Golden Globes, di cui 8 vittorie. Meryl è una star, un’icona del cinema moderno, la cui luce splendente nel firmamento hollywoodiano non accenna ad affievolirsi neanche oggi, all’età di sessantacinque anni. L’attrice conquista 3 statuette: nel 1980, per l’interpretazione di una madre che, al rapporto con suo figlio, sceglie la propria autoaffermazione in Kramer contro Kramer, e nel 1983 in La Scelta di Sophie, nel ruolo di una madre costretta a compiere una scelta difficile che le lascerà un segno indelebile nell’anima per tutto il resto della sua vita. La terza statuetta la vince con l’interpretazione di Margaret Thatcher, unica donna ad essere stata Primo Ministro britannico – una donna ambiziosa e determinata, dal temperamento di ferro: The Iron Lady.

Dalla sublime raffinatezza e manierismo interpretativo, la Streep ha saputo reinventarsi in una galleria di volti femminili – dalla complessità di eroine avvolte nel melodramma di scenari di guerra ed Olocausto, alle brillanti reginette dai picchi ironici, nei cui panni l’attrice – commediante nata – letteralmente scompare. La morte ti fa bella è un ottimo esempio di satira, kitsch ed irriverente, in cui Meryl Streep risplende e dona credibilità ad un personaggio estremamente grottesco, che insegue affannosamente l’illusione di un’eterna giovinezza, anche a costo di andare in pezzi – letteralmente. Film virulento, che critica ferocemente una società che celebra e si fonda unicamente sui principi di bellezza e giovinezza – da cui risultano tante indistinguibili macchiette senza un’identità, senza un’anima. Questo aspetto viene esasperato dal personaggio di Meryl Streep e dalla sua amica/nemica interpretata da Goldie Hawn, che finiscono per diventare due morti viventi – è doveroso citare la scena in cui la Streep appare con la faccia girata a 180° sul collo, o quella in cui la Hawn ha un enorme buco in mezzo allo stomaco e gli occhi di ghiaccio.

Tutt’altro che ironico è il tono di The Iron Lady – che si auto-configura come una riflessione, compiuta a ritroso, sulla vita di una donna che ha guidato con tenacia e fermezza un centinaio di menti, prima di essere costretta dalla demenza senile ed un principio di Alzheimer, a brancolare nel buio della propria mente, confondendo continuamente presente e passato in un vortice di emozioni senza né tempo nè orientamento.

Per me è stato un privilegio essere Margaret – sostiene l’attrice – frugare dentro un personaggio così complesso e decisivo nella storia mondiale, ma i cui risvolti emotivi ed interiori mi sono sempre stati oscuri ed hanno suscitato, non solo in me, ma in tutti, molta curiosità”.

È una storia a suo modo universale, che può essere quella di tutti noi – amplificata dai tratti epici che hanno caratterizzato la vita di una vera leader – che, ad un certo punto, si trova ad un capolinea imposto dal tempo; e ci si ritrova a vagare tra i sentieri tortuosi della propria mente, senza più punti di riferimento od indicazioni.

Meryl Streep parla del personaggio in questi termini:

Questo, però, non è stato facile da interpretare. È una sfida; ma quando arrivi alla mia età, ti sembra di avere ancora vent’anni, quindi non è stato un grande problema. Una parte di me si sente ancora la stessa persona di quando avevo 16 anni, o 26, o 56. Hai accesso a tutte le persone e a tutte le età che hai già vissuto. Credo sia questo il grande vantaggio, se ne esiste uno, di diventare vecchi”.

Il film è straordinariamente apolitico, nonostante parli della vita di una donna che è riuscita ad imporsi sullo scenario istituzionale britannico di un’epoca in cui la sua presenza non era che una chiazza rosa all’interno di un mondo monocromatico, fatto di uniformi scure e colletti bianchi, ben stirati da mogli che – a quel tempo – non erano nulla più che una sintesi di faccende domestiche, doveri genitoriali e coniugali e fornelli.

Johanna, la protagonista di Kramer contro Kramer, interpretata da Meryl, è esattamente quel genere di donna stanca di essere costretta e ridotta alla definizione di madre o moglie, tipica degli anni Ottanta, e decide di reagire alla sua profonda infelicità ed insoddisfazione lasciando la propria famiglia per andare alla ricerca di sé stessa – della realizzazione personale come donna. L’attrice, a suo modo, giustifica la scelta di questa donna che è emblema di un sistema sociale che sta cambiando:

Quando facevamo il film, nessuno capiva una donna che voleva lasciare marito e figlio perché sentiva che la mente la stava abbandonando. Ora ne sappiamo di più di queste cose, e la capiamo – ma all’epoca nessuno la perdonava”.

Dai panni di donne che si fanno testimonianza e sigillo di una società che sta cambiando, agli abiti griffati di una contemporanea donna in carriera che ha piena coscienza della propria autorità, nel 2006, Meryl diventa Miranda Priestley – personaggio ricalcato sulla personalità di Anna Wintour, la spietata direttrice di Vogue America. In un tripudio di ironia velenosa, dialoghi brillanti, scarpe Manolo Blanik, foulard Hermès e completi Prada, l’attrice si distingue ancora una volta per un’interpretazione riuscitissima – anche quando si “traveste da cattiva”, la Streep riesce a conquistare il cuore del pubblico ed i favori della critica. Da un surrogato di Crudelia DeMon, l’attrice, nel recente Into the Woods, indossa la maschera sdentata, con i capelli arruffati e turchini di una perfida e perfetta strega da fiaba.

Non sarà la più bella del reame, ma senz’altro è la diva da Oscar per antonomasia della Hollywood di ieri, e di oggi. Ci ha emozionato in ruoli ad alto valore empatico, commosso attraverso gli occhi vuoti di realtà e pieni di ricordi di una donna di ferro, affascinato dietro gli occhiali spessi e costosi dell’intransigente Diavolo di un Inferno che ha i colori fluo delle riviste di moda e le luci delle passerelle, sorpresi e convinti nei panni di grottesche signore alla ricerca spasmodica di un fantomatico elisir di eterna giovinezza.
Una cosa è certa, Meryl Streep la formula per l’immortalità l’ha trovata, quantomeno nel cuore di chi ama il cinema e apprezzerà i suoi mille volti filmici senza tempo e senza data di scadenza. Lunga vita a Meryl!

Tutti gli abiti (e le armature) dell’australiano biondo che fa impazzire il mondo

Fonte: NewsCinema

A cura di Alexia Altieri
Articolo pubblicato su NewsCinema Magazine di Marzo 2015 – Anno II – N.03 – [Pagg. 14-18]
(download
qui)

Chris Hemsworth nasce a Melbourne, Australia l’11 Agosto del 1983 da un’insegnante d’inglese ed un consigliere dei servizi sociali. Ha due fratelli, entrambi attori: Luke e Liam Hemsworth.

Recitare non è stata la sua aspirazione da sempre: ai tempi del liceo avrebbe voluto diventare medico, calciatore professionista, avvocato e anche poliziotto. In questa confusione di ruoli e mansioni, ignorava che esisteva una professione che gli avrebbe permesso di entrare ed uscire da ognuna di queste vesti. La scelta di intraprendere la carriera da attore nasce da un’ingenua curiosità: iniziò a seguire lo stesso corso di recitazione di suo fratello Liam e solo allora capì che quella era la sua strada.

Con una passione per il surf, da australiano doc quale è, ed una insolita per la lettura di libri antichi, inizia la sua carriera sul piccolo schermo. Nel 2004 entra nel cast della soap opera Home and Away (1988), nei panni del Personal Trainer, Guardia del Corpo Kim Hyde; nel 2007 partecipa alla versione australiana di Ballando con le Stelle, con la partner Abbey Ross.

La sua prima apparizione hollywoodiana è in Star Trek (J.J. Abrams, 2009), nei panni del comandante George Samuel Kirk, ma il ruolo che lo renderà celebre sarà quello dell’iconico Dio del Tuono, Thor. Nel 2009 l’attore ottiene la parte per l’interpretazione dell’epico eroe dell’Universo Cinematografico Marvel, e nel 2011 ha luogo il suo primo stand-alone nell’omonimo cinecomic, Thor (Kenneth Branagh, 2011).

Sguardo fiero da divinità e muscoli d’acciaio, è innegabile che Chris Hemsworth abbia il perfetto physique du rôle per interpretare Thor – personaggio basato sull’omonima figura del Dio del lampo e del tuono della mitologia scandinava.
Thor ha rappresentato per Chris, il suo debutto da protagonista e, sicuramente, una grande responsabilità:

“Ho provato un misto di emozione e sconforto. Stavo per calarmi nei panni di un personaggio che i fan del fumetto conoscevano meglio di me. Sapevo che dovevo dare il massimo per loro”.

L’attore presta corpo e anima al Vendicatore biondo anche per uno dei film più visti di sempre, The Avengers (Joss Whedon, 2012), e per il secondo episodio della sua saga personale, Thor: The Dark World (Alan Taylor, 2013).
Vedremo ancora l’attore nei panni dell’asgardiano figlio di Odino, che brandisce il mitico martello Mjölnir, che solo lui è in grado di sollevare, nel secondo capitolo del corale cinecomic dedicato ai VendicatoriAvengers: Age of Ultron (Joss Whedon, 2015) ed in un terzo capitolo del suo personale universo cinematografico.
Avengers: Age of Ultron vedrà la squadra riunirsi per combattere Ultron, un nuovo e terrificante cattivo che minaccia la razza umana: scomode alleanze e nuovi arrivati metteranno a dura prova l’impresa degli Avengers, che vedremo alle prese con una adrenalinica avventura su scala globale. Chris, parla del film in questi termini:

“Venendo da Thor 2 e The Avengers non vedevo l’ora di leggere il copione! Mi è piaciuto molto, la storia è stata ampliata ma in modo intelligente. Si è riuscito a portare indietro tutti gli Avengers e a dar loro un motivo pertinente per essere lì e per giustificare il conflitto. Non ci sono forzature. Voglio dire, si tratta di un equilibrio difficile da trovare”.

Inoltre, ci svela qualche curiosità sul suo personaggio: stavolta, non assisteremo all’educato ed ironico Dio naïf, dal linguaggio colto ed il portamento regale poiché, vivendo ormai sulla Terra, lo vedremo anche piuttosto a suo agio nel partecipare a party metropolitani, in jeans e t-shirt. Tra un passato epico ed un presente casual, attendiamo con ansia l’uscita del film – prevista per questa primavera – per trovare una nuova etichetta per il futuro del Vendicatore biondo.

Ma il bell’attore – proclamato l’uomo più sexy al mondo, dalla rivista statunitense People nel 2014 – annovera tra le sue interpretazioni, altri personaggi riuscitissimi, seppur distanti dallo spirito del potente guerriero senza poteri spedito sulla Terra per punizione.
Dai fumetti alle fiabe, Chris interpreta il Cacciatore, in Snow White and the Huntsman (Rupert Sanders, 2012). Protagonista indiscusso – a tratti più della stessa Biancaneve – di questa rilettura in chiave dark della più classica delle favole, Chris è l’ebbro e disilluso Cacciatore che, con il dipanarsi della trama, lascia intravedere, tra le sfumature di disperazione che tormentano la sua anima, uno spirito fiero e ribelle. Un’anima integra la sua, che non si lascia ammaliare dalle carezze di un diavolo che, seppur con il volto angelico di Charlize Theron, subdolamente la reclama. Due lupi dispersi nella stessa favola, Ravenna e il Cacciatore, ma se la prima soccombe, pugnalata al cuore accanto allo Specchio che è stato per lei sintesi di compiacenza e condanna, l’altro si redime.
L’attore apprezza molto lo spessore di questo personaggio:

“Mi piace il suo conflitto interiore. Era una ferita aperta. Mi piace il suo percorso da quando lo incontriamo a quando riprende possesso della sua vita. […] Lui è il classico eroe occidentale, restio ma sotto sotto ha un cuore d’oro”.

Una fiaba moderna, senza nanetti che canticchiano lavorando in miniera e principi in calzamaglia azzurra, del resto “Non tutte le principesse vogliono il principe, altre preferiscono di gran lunga il Cacciatore”.
A questa pellicola seguirà un prequel, The Huntsman – la cui data di uscita in America è prevista per Aprile 2016, con Frank Darabont alla regia – in cui vedremo come il suo destino incontra quello della strega cattiva, molto tempo prima di fare la conoscenza della “più bella del Reame”, e giustificherà quali eventi hanno concorso al suo incontro con quest’ultima. Fin dal titolo è palesato che in questo gothic prequel d’ispirazione fiabesca e sfondo horror, l’attore sarà protagonista assoluto.

Un’altra svolta per la sua carriera arriva in sella ad una McLaren: Rush (Ron Howard), biopic sportivo che racconta la storica rivalità tra i due piloti di Formula 1, James Hunt “The Shunt” (Lo Schianto) e Niki Lauda. L’uno famoso per il numero di macchine disintegrate sui circuiti, e di donne sedotte, l’altro per la sua capacità di trovare anche il più impercettibile dei difetti nell’assetto di una vettura e per il drammatico incidente che lo ha lasciato per sempre sfigurato. Due facce della stessa medaglia, accomunate dalla medesima folle voglia di correre per vincere: respirare asfalto e adrenalina per potersi ergere sul gradino più alto del podio, ad ogni costo, anche della propria vita. La determinazione è un tratto caratteriale che fa parte anche di Chris, il quale si sente in qualche modo affine allo spirito libertino di James Hunt:

“Mi piace il suo approccio alla vita, cento per cento impegnato, niente a metà, fedele a se stesso. Onesto, anche se un po’ sopra le righe. Un tipo “prendere o lasciare”, così sono anch’io”.

Un uomo circondato dalla leggenda, un po’ insolente e presuntuoso, e profondamente triste: sempre alla ricerca di una felicità che, al di là di fuochi d’artificio e servizi fotografici, gli era impossibile raggiungere davvero. Chris Hemsworth e Daniel Brühl (interprete di Lauda), ridanno vita ai due eterni rivali, accomunati da una profonda invidia e stima reciproca. Il regista ha saputo cogliere appieno questo aspetto: per cui, al di sotto della patina di tensione che si creava tra loro, ogni volta che condividevano la stessa inquadratura, era possibile intravedere i contorni sfumati di una profonda amicizia.
Alla prémière di Toronto, alla fine della proiezione, il vero Lauda ha fatto un unico commento: “Vorrei che anche James fosse qui”.

Bello come un Dio, malinconico Cacciatore delle fiabe, irresistibile nell’inspirare adrenalina e pericolo tra i circuiti di Formula 1, Chris Hemsworth ha indossato diversi abiti – o armature – ed ognuno di questi sembrava essergli stato cucito su misura. Credibile e promettente, il giovane attore australiano è indubbiamente un astro nascente, se non una vera e propria star splendente più che mai nel firmamento hollywoodiano.

Vincitori della 87esima edizione della Cerimonia degli Oscar – 2015

Questa notte si è svolta la cerimonia più importante per il cinema: La cerimonia degli Oscar – nella sua 87esima edizione, presentata da Neil Patrick Harris.

Dopo un lungo red carpet, fatto di celebrities e haute couture, il Dolby Theatre ha finalmente alzato il sipario e dato inizio alla notte del cinema.

Ecco i vincitori degli Oscar 2015:

MIGLIOR FILM: Birdman di Alejandro Gonzàlez Inàrritu

MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA: Julianne Moore per Still Alice

MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA: Eddie Redmayne per The Theory oh Everything

MIGLIOR REGIA: Alejandro Gonzàlez Inàrritu per Birdman

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: J.K. Simmons per Whiplash

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA: Patricia Arquette per Boyhood

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE: Alejandro G. Innàritu, Nicolàs Giacobone Alexander Dinelaris Jr. e Armando Bo per Birdman

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: Graham Moore per The Imitation Game

MIGLIOR COLONNA SONORA: Alexandre Desplat per Grand Budapest Hotel

MIGLIOR CANZONE: Glory di John Stephens e Lonnie Lynn in Selma

MIGLIOR MONTAGGIO: Tom Cross per Whiplash

MIGLIOR FOTOGRAFIA: Emmanuel Lubezki per Birdman

MIGLIOR SCENOGRAFIA: Adam Stockhausen e Anna Pinnock per Grand Budapest Hotel

MIGLIORI EFFETTI SPECIALI: Paul Franklin, Andrew Lockley, Ian Hunter e Scott Fisher per Interstellar

MIGLIOR SONORO: Alan Robert Murray e Bub Asman per American Sniper

MIGLIORI COSTUMI: Milena Canonero (orgoglio italiano) per Grand Budapest Hotel

MIGLIOR TRUCCO: Frances Hannon e Mark Coulier per Grand Budapest Hotel

MIGLIOR FILM DI ANIMAZIONE: Don Hall e Chris Williams per Big Hero 6

MIGLIOR CORTO D’ANIMAZIONE: Feast di Patrick Osborne

MIGLIOR DOCUMENTARIO: CitizenFour di Laura Potras, Mathilde Bonnefoy e Dirk Wilutzky

MIGLIOR CORTO DOCUMENTARIO: Crisis Hotline: Veterans Press 1 di Ellen Goosenberg Kent e Dana Perry

MIGLIOR CORTO: The Phone Call di Mat Kirkby e James Lucas

MIGLIOR FILM STRANIERO: film polacco Ida di Pawel Pawlikowski