A cura di Alexia Altieri
Il grande Gatsby di Baz Luhrmann si annovera come quarto remake cinematografico dell’amaro e ispirato capolavoro nato dalla penna di Francis Scott Fitzgerald, dopo una prima trasposizione, muta e ormai andata persa, la versione del 1949 di Elliot Nugent e quella del 1974 sceneggiata da Francis Ford Coppola, con Robert Redford e Mia Farrow.
Nick Carraway (Tobey Maguire) è la voce narrante – una voce pregna della cruda disillusione che riempie le pagine del romanzo di Fitzgerald – e la storia di Mr. Gatsby s’installa nel racconto che l’indolente scrittore fa al suo terapeuta, dell’ingombrante ricordo dell’esistenza altisonante del suo facoltoso e misterioso amico.
Nonostante la cornice psicoanalitica, la storia de Il grande Gatsby possiede i contorni fumosi e iridescenti di un sogno, e questo ci appare chiaro fin dai titoli di testa: un faro proietta una vivida luce verde sulla costa di Long Island; il suo sguardo si muove costantemente tra le due rive della baia – quella abitata da lusso, dissipazione e corruzione, e quella opposta, dove alloggia il giovane romanziere Carraway, il cui ruolo nella vicenda rimane inevitabilmente ancorato all’essere un mero spettatore.
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